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Gorizia 2025, dal muro nasce il dialogo con le lingue dei confini


di
Daniele Rea

La città friulana è Capitale europea della Cultura con Nova Gorica. Le asperità del passato e una storia di accoglienza della «piccola Nizza»

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Davanti alla faccia l’est Europa, il blocco comunista. Tutto intorno, il resto. In mezzo, un muro, il muro di Gorizia. Quasi una sorta di fortezza Bastiani, in attesa di un’invasione che, anche qui, non avverrà mai. In mezzo, appunto, un muro: la «linea bianca».

La «linea francese»

Una divisione del settembre 1947, una linea ideale e materiale che, decisa a tavolino e sulle mappe segnando sulla carta quella che viene ricordata come la «linea francese», divenne uno dei simboli della guerra fredda e recise come una cesoia abitudini, quotidianità, affetti, conoscenze, amicizie, lavoro, scambi commerciali. Il muro di Gorizia, forse il confine per eccellenza, è molto meno conosciuto di quello di Berlino ma è nato prima e, negli anni, gli è pure sopravvissuto, demolito solo nel 2004. Ora, con un programma vasto quanto ricco di appuntamenti, Gorizia insieme alla sua gemella Nova Gorica sarà la capitale europea della cultura 2025, con un carnet di iniziative che prendono il via sabato 8 febbraio per proseguire nel corso dei mesi successivi. Una data scelta non a caso, nel segno di una unità e di un comune sentire fortissimo. Una data carica di simboli: segna il giorno della morte di France Preseren, grande poeta sloveno del XIX secolo, e il giorno di nascita del poeta Giuseppe Ungaretti che sulle alture del Carso, durante la Grande Guerra, combattè con i reparti di fanteria italiana e ne trasse poesie indimenticabili, piene di dolore e ricche di una umanità struggente.




















































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I muri e i confini

Gorizia e Nava Gorica, ora non più divise, vicinissime com’erano ma lontane come due mondi paralleli, saranno al centro di una proiezione universale, europea, culturale e di pensiero, autentici ponti verso un mondo senza più sbarre, confini, chiusure, muri. Il muro di Gorizia, appunto. Quel muro tracciato secondo rigida logica burocratica dalle forze Alleate, che controllavano la città. Un’impresa che non poteva non creare problemi e connessioni a volte lontane dalla logica. In città ma anche nei suoi contorni limitrofi dove, solo per un esempio, nel cimitero del paese di Merna, a una manciata di chilometri di distanza, la famigerata «linea bianca» venne tracciata con rigore fin troppo ferreo passando tra le tombe. Con il rischio di trovarsi con qualcuno di qua e qualcun altro di là: il nonno in Italia e la vecchia zia in Jugoslavia. E poi i terreni agricoli, magari con la casa in Slovenia e le vigne in Italia, la stalla in Slovenia e la casa in Italia. Il fienile in Slovenia e l’orto in Italia. Problemi risolti poi con i valichi di terza categoria, confini più simbolici che reali in fondo, transitabili solo dai residenti, stradine spesso sterrate che consentivano di avere una quotidianità che conservava parvenza di normalità.

I colossi della cultura

E poi, c’è la città. La città che ha dato i natali a colossi della cultura come Carlo Michelstaedter, genio inquieto, morto suicida a soli 23 anni ma capace di lasciare studi sulla persuasione e la retorica in Platone e Aristotele che sono ancora pietre fondanti del pensiero occidentale. O il linguista Graziadio Isaia Ascoli, che ha aperto la strada alla glottologia coniandone il nome. Una città divisa da un confine piazzato nel territorio, un pezzo di cortina di ferro piantato nel cuore di quella che gli Asburgo consideravano una piccola Nizza, con i suoi viali ombreggiati dai tigli dove sembra di sentire come sottofondo, con un pizzico di immaginazione, una sonata di Schumann. Una piccola Nizza dove era normale sentir parlare italiano, friulano, sloveno, tedesco e croato, collegata all’Impero dal treno che arrivava alla grande stazione Transalpina, rimasta dalla parte slovena nella suddivisione dei pezzi di città. Difficile da capire, per chi non ha nel vissuto almeno una parte di quegli anni. Una parte di città slovena, quindi jugoslava, comunista, Est Europa a tutti gli effetti. Una parte italiana, occidentale, economia capitalista, libero mercato. Un confine innaturale, ed è normale che si iniziasse, tra la gente comune, a cercare «di là» quello che «di qua» non c’era o era difficile da trovare. 

Valichi di seconda

Con gli anni arrivarono nuove possibilità, i cosiddetti «valichi di seconda», solo per i residenti entro le aree di confine. Ci voleva la prepustnica, il lasciapassare, che regolava movimenti e piccoli traffici di confine: cinque anni di validità, doppia lingua, con un limite orario nel corso della giornata e non oltre i dieci km di distanza. Tre, i giorni concessi nell’altro Stato. Quanto bastava per arrangiarsi. Dall’Italia si passava il confine per le sigarette, la benzina, la carne, la cioccolata Milka. I bambini potevano farsi comprare gomme da masticare a forma di sigaretta, molto simili a quelle vere e introvabili in Italia. Chi amava gli sport sulla neve poteva acquistare i mitici sci Elan, che diventarono ambitissimi perché scelti anche da un fuoriclasse come Ingemar Stenmark.

La città comune

La svalutazione del dinaro consentiva anche agli italiani di sentirsi possessori di una moneta forte e dall’altra parte, dalla Slovenia, si iniziò a venire in Italia per acquistare soprattutto dischi, scarpe, vestiti. L’oggetto del desiderio erano i jeans, con il più magro della compagnia che ne indossava quattro paia uno sull’altro, dalla S alla XL, a «cipolla». Spazio alla fantasia, insomma, cercando di scavallare i limiti, in quantità, di quanto potevi portare da una parte all’altra. Un’arte di arrangiarsi per necessità, passando attraverso i valichi regolari in un territorio dove tra campagne e colline era fin troppo facile, in maniera involontaria, sconfinare senza nemmeno avere il tempo di rendersene conto. Ma questo, a tutti gli effetti, è il passato. Il presente dice che il 2025 sarà l’anno delle due città insieme, a sessant’anni dai prodromi per una sorta di «città comune» in Europa, quando due giovani sindaci di Gorizia e Nova Gorica, Michele Martina e Josko Strukelj, iniziarono i dialoghi per iniziare a pensare a un futuro di pace e di unità di intenti. Senza più muri.


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