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MIGRANTI +33%/ “I trafficanti sfruttano l’assenza di Stato in Libia, controllare i confini non basta”


Il 2025 si apre con un aumento dei migranti in arrivo, oltre 3.400, la stragrande maggioranza dei quali (oltre il 90%) provenienti dalla Libia, che torna a essere il vero tallone d’Achille dei flussi verso il nostro Paese. È successo, spiega Mauro Indelicato, giornalista di Inside Over e Affari Italiani, che la situazione sulle coste intorno a Tripoli è diventata ancora più instabile del solito, al punto che nuove milizie si sono gettate a capofitto nel traffico di migranti, sfruttando l’ormai cronica assenza dello Stato libico. Nonostante il controllo dei confini, infatti, da questo dipende l’arrivo o meno degli stranieri attraverso i “viaggi della speranza”. In Libia confluiscono persone di diverse nazionalità, che le organizzazioni criminali indirizzano lì. In Italia arrivano soprattutto dal Bangladesh e dal Pakistan. I migranti, invece, non partono più dalla Tunisia: Saied ha capito che non gli conveniva lasciare spazio alle bande che gestivano il fenomeno.



Con l’inizio dell’anno gli sbarchi dei migranti in Italia sono tornati a salire. Rispetto allo stesso periodo del 2024, siamo al 33% in più, con la Libia a fare la parte del leone. Come mai si torna a numeri da emergenza?

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Sono dinamiche che dipendono dal contesto libico, in questo caso dalla situazione lungo la costa. Secondo un’informativa dei servizi segreti, c’è un vuoto di potere in alcune città come Zawiya e in altre aree a est di Tripoli, una circostanza che sta permettendo a nuove milizie di organizzare il flusso migratorio: i trafficanti stanno cercando di massimizzare il più possibile i profitti, mandando in mare il maggior numero di barche.

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Ai libici non bastano le milizie che già ci sono? Hanno bisogno di crearne delle altre?

È questo il vero problema: l’instabilità libica. Finché non ci sarà uno Stato vero e proprio, il potere verrà conteso tra gruppi locali, che possono essere consolidati o formarsi dalla scissione di altre formazioni. Le armi non mancano. Le dinamiche delle milizie libiche sono molto simili a quelle della mafia dalle nostre parti. Spesso accade che un gruppo si scinda, entrando in competizione con la formazione da cui proviene e contendendole il controllo di certi traffici. Con la differenza che in Libia, appunto, non c’è uno Stato e quindi queste milizie spadroneggiano. In questa fase, nello specifico, dopo l’uccisione di Bija ad agosto (il guardiacoste-trafficante sanzionato anche dall’ONU, nda) e con gli scontri che ci sono stati a Zawiya, si è creato quel vuoto di potere che ha portato le nuove milizie a organizzare il traffico di migranti verso le nostre coste.



Ma queste milizie da chi sono formate? Sono sostanzialmente tribali?

Sono su basi tribali, perché i legami di famiglia, come in tutti i gruppi paramafiosi, sono molto importanti. Tuttavia, si assiste anche a una certa trasversalità nella composizione dei gruppi: può capitare che i contrasti nascano all’interno di una stessa tribù e allora una parte di questa si allea con un’altra tribù per dare vita a un’altra milizia.

Tutto ciò vuol dire che l’arrivo dei migranti è un po’ in balia della situazione locale. L’Italia che cosa può fare?

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Il problema è che non solo l’Italia, ma l’Europa, agisce sempre lungo i confini, potenziandone il controllo, ma ci sono dinamiche che non possono essere modificate senza una stabilità interna del Paese, creando quantomeno uno Stato che possa fare da argine e costituirsi come una vera autorità. Purtroppo, un po’ per negligenza, un po’ anche per incapacità, perché l’Italia o la stessa Europa da sole non riescono a far fronte alla situazione, si è sempre cercato un confronto con Tripoli e con altri attori che non ha prodotto risultati. E così i migranti partono e i trafficanti prendono comunque il sopravvento.

Intanto, però, il recente boom degli sbarchi riguarda solo le coste libiche come provenienza. Da lì arrivano a migliaia da inizio anno, da Tunisi poche decine di persone, sotto la quarantina: 36. Come mai?

La situazione in Tunisia si è un po’ calmata: il Paese è fallito, salvando tuttavia il bilancio con i fondi delle petromonarchie. Saied, il presidente tunisino, si è reso conto che fare pressione sull’Europa si stava rivelando un boomerang: lasciare che i trafficanti organizzassero i viaggi dei migranti verso le coste italiane rischiava di mettere in discussione il suo stesso potere. Voleva dire generare un contesto di instabilità, soprattutto a Sfax e nelle province costiere, e lasciare che le organizzazioni criminali si insediassero sul territorio. Comunque, siamo sempre lì: dipendiamo dalle decisioni del governo di un Paese dirimpettaio.

La maggior parte degli stranieri che giungono in Italia proviene dal Bangladesh o dal Pakistan. Ma ci arrivano partendo dalla Libia, raggiungendo via aereo Bengasi e poi spostandosi a ovest. Lo stesso fanno i siriani. Come mai il traffico di esseri umani confluisce tutto lì?

La Libia, dai tempi di Gheddafi, ha una forte comunità bengalese. Uscita dalle sanzioni nel 2004, aveva avviato moltissimi cantieri, richiamando migranti per lavorare. Molta manodopera veniva dal Bangladesh e dai Paesi del sud-est asiatico. Succede quindi che i bengalesi che sono lì fanno da punto di riferimento per i loro connazionali. La Libia è un hub storico per la comunità bengalese che vuole spostarsi o in Medio Oriente o in Europa.

Ma se le persone vengono convogliate lì, vuol dire che c’è qualcuno che le guida verso questa situazione.

A Dubai, così come in altre metropoli mediorientali, ci sono organizzazioni criminali che spingono i bengalesi ad andare in Libia promettendo lavoro, una vita migliore o il passaggio verso l’Europa. Tutto questo fa sì che migliaia di persone, con normali aerei, si spostino verso la Libia per dirigersi poi verso l’Italia. Qualche anno fa, in un’inchiesta, un indagato disse che con i migranti si fanno più soldi che con la droga. Ecco, dobbiamo considerare il traffico di migranti con le stesse modalità del traffico di droga: organizzazioni trasversali e internazionali, ramificate in varie parti del mondo, che poi portano il loro business nel cuore dell’Europa.

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Nel frattempo, in attesa della decisione del 25 febbraio della Corte di giustizia europea, che stabilisca come definire sicuro un Paese di provenienza, il governo cerca di rilanciare i centri in Albania, creati per i migranti la cui posizione deve essere ancora definita. Un progetto che comunque rimane a rischio?

Non mi pronuncio sulle questioni di natura giuridica. Da un punto di vista politico, a mio modo di vedere, il progetto è fallito. Mi ricollego a quanto detto prima: non basta concentrarsi sul controllo dei confini. Il governo Meloni ha pensato all’installazione di centri in Paesi terzi per dissuadere i migranti dal partire. L’idea è: se vedono che non arrivano in Italia, ma prima devono fare una lunga trafila in Albania, ci pensano due volte prima di partire. In realtà, le partenze aumentano o diminuiscono in base a dinamiche che nulla c’entrano con l’Italia o con l’Europa, ma che hanno a che fare unicamente con i Paesi di partenza.

(Paolo Rossetti)

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