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Cingolani: “Il rapporto privilegiato di Meloni con Trump conviene anche all’Ue”


“Sì al Recovery per la Difesa. Ma prima serve una governance chiara”, dice l’amministratore delegato di Leonardo. “Il no alla ricerca militare negli atenei è un danno per i ragazzi”

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L’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, dice che “il ruolo centrale di Meloni è un asset per l’Ue. Si è mossa benissimo e in maniera rapida. Meglio che ad avere un rapporto privilegiato con gli Usa sia l’Italia e non un paese magari più periferico, nazionalista”. Sulle discussioni del Consiglio europeo, poi, Cingolani ha posizioni nette: “Non includere la spesa per le armi nei parametri del Patto di stabilità sarebbe positivo. Così come un Recovery per la Difesa. Ma prima serve una governance chiara”.

       
L’ultimo vertice tenutosi a Bruxelles proprio per discutere di Difesa europea non ha licenziato documenti vincolati. Ma ha rilanciato la discussione su alcuni strumenti che l’Ue potrebbe approntare per incrementare gli stanziamenti dei paesi membri. “Non includere il debito derivante dalle spese militari all’interno del Patto di stabilità mi sembra una cosa ragionevole. Soprattutto perché, con 59 conflitti nel mondo, aumenta la pressione internazionale ad aumentare gli investimenti”, ragiona col Foglio Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, tra le principali società europee della Difesa, a partecipazione pubblica. “Per quel che riguarda il Recovery, invece, in linea di principio avrebbe senso. Ma temo sempre quando si stanziano risorse senza avere un piano preciso”, aggiunge Cingolani. “Per questo credo che prima andrebbe sperimentata un minimo di ingegneria di governance di come si immagina l’embrione della nuova Difesa europea. Un qualcosa che dovrebbe andare di pari passo con il problema dei finanziamenti”.

 

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Sempre a Bruxelles s’è evidenziata una faglia tra chi, come la Francia, propenderebbe per una soluzione “buy european”. E chi, soprattutto la Germania, spinge per rifornirsi dagli Usa magari come contropartita anti dazi. “Ma quest’ultima è un’opzione che per adesso abbiamo letto solo sui giornali”, dice Cingolani. “E’ chiaro che come multinazionale italiana ed europea noi siamo convinti di avere una potenza industriale tale da creare un sistema europeo molto competitivo. Dobbiamo creare grandi gruppi industriali europei della Difesa, sapendo però al contempo guardare in faccia la realtà e riconoscendo che la realtà europea oggi è molto frammentata. Il confronto con le aziende americane in questo momento è impari. Ma quello che potrebbe succedere da qui ai prossimi anni potrebbe cambiare il quadro. L’importante è seguire una road map precisa, sapendo che non si può più prescindere da una sicurezza globale, senza farne una questione di principio. E cercando di avere una strategia comune con la Nato. Al momento non c’è che un miliardo e mezzo nel fondo europeo. Ma non è che con quello fai granché”.

 Fatto sta che, allargando lo sguardo al rapporto con l’Amministrazione Trump, l’ex ministro della Transizione ecologica è fiducioso. “Dobbiamo essere speranzosi che ci possa essere un assestamento. Non credo che questi segnali iniziali, da parte della nuova Amministrazione, diventeranno la norma. Anche con Canada e Messico è iniziata una negoziazione. Aspettiamo di vedere cosa succederà nel lungo periodo, ma io credo che i partner europei siano contentissimi di vedere come l’Italia stia instaurando una relazione privilegiata con Washington. Meloni si è mossa benissimo, in maniera rapida, e l’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Ue. Credo che i nostri alleati gradiscano molto di più un rapporto stretto con l’Italia che non con un paese più periferico e magari più nazionalista”. A ogni modo, riconosce ancora Cingolani, “l’Ue troverà la sua quadra. Francia e Germania con i loro assestamenti torneranno a regime. E mi pare di capire che anche il Regno Unito possa giocare un ruolo centrale”.

 

In ultima analisi, chiediamo a Cingolani cosa ne pensi di alcune università, come quelle di Pisa e di Siena, che in nome del pacifismo iniziano a sfilarsi da progetti di ricerca in ambito militare. “Io sono per il massimo della libertà”, dice. “Certo penso che a pagare saranno i ragazzi, che vedranno ridursi un sacco di opportunità professionali e di formazione. A certi rettori interessa di più l’ideologia che offrire una possibilità in più ai propri studenti. Anche perché la ricerca nella maggior parte dei casi ha ben poco di militare”.
 





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