Il carrubo è una coltura che può essere considerata marginale in Italia eppure il numero di agricoltori interessati, pronti ad investire in questa pianta, sembra in aumento.
Si tratta, infatti, di una coltura strategica per le aree mediterranee e i terreni marginali, grazie alla sua elevata rusticità, per cui non richiede particolari cure, e alla sua capacità di resistere a condizioni di stress idrico. Dalla sua coltivazione si ottengono principalmente due prodotti: la farina di semi, utilizzata in ambito industriale come prodotto addensante (la si ritrova nei gelati, zuppe, salse, ecc.) e la polpa che può essere consumata tal quale o trasformata in farina per applicazioni in ambito alimentare (per esempio per la produzione di creme spalmabili) o per uso mangimistico.
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Non è tutto oro ciò che luccica però, e si potrebbe dire che la coltivazione del carrubo al momento abbia comunque dei limiti sia dal punto di vista agronomico sia economico.
Per conoscere meglio ciò che ruota intorno a questa coltura abbiamo intervistato tre figure distinte, ma indirettamente interconnesse, appartenenti alla filiera siciliana del carrubo. Giovanni Giavatto è un agronomo di 26 anni che gestisce l’azienda agricola di famiglia (nel comune di Scicli in provincia di Ragusa) dove, oltre ad ortaggi, mandorli e olivi ci sono 350 alberi di carrubo; Tonino Parisi gestisce l’azienda Parisi e Liuzzo (nel comune di San Giacomo in provincia di Ragusa) e si occupa della frantumazione delle carrube (il baccello prodotto dalla pianta) dagli anni ’80; Massimiliano Brugaletta è un agronomo che lavora per l’azienda Lbg Sicilia, che ha sede a Ragusa e che processa le carrube ed i semi ottenendo farine vendute in tutto il mondo.
La filiera del carrubo funziona proprio in quest’ordine: il produttore a fine stagione vende generalmente le proprie carrube all’azienda che separa la polpa dal seme; la polpa viene principalmente venduta alle aziende mangimistiche e il seme alle aziende che lo lavorano e lo trasformano in farina per le industrie alimentari.
La produzione 2024 di carrube in Sicilia
Il 2024 è stato un anno complesso per la produzione di carrube, segnato da una combinazione di fattori sia intrinseci alla pianta, quindi fisiologici, che estrinseci.
Da un lato c’è la naturale alternanza di produzione e quest’anno per la maggior parte delle piante è stato un anno di scarica. Dall’altro lato hanno influito le condizioni climatiche caratterizzate da siccità estrema e temperature elevate.
“La produttività del 2024 è stata piuttosto bassa – spiega Massimiliano di Lbg Sicilia – Naturalmente il carrubo è soggetto a delle oscillazioni nella produzione: solitamente ogni quattro anni consecutivi c’è un anno di carica con produzione abbondante, uno di scarica con produzione scarsa e due nella media in ordine sparso. La campagna di raccolta del 2024 è stata scarica perché le piante dovevano riposarsi dopo il 2023, che è stato un anno con produzione abbondante. Inoltre, hanno anche sofferto la siccità e sono andate in autoprotezione”.
Il clima estremo ha anche fatto anticipare la raccolta e Giovanni Giavatto fa l’esempio della sua azienda: “Solitamente i miei genitori e anche i miei nonni raccoglievano dopo il 15 agosto. Da due anni a questa parte noi anticipiamo di tanto la raccolta e cominciamo intorno al 25 luglio. Ci sono quindi 2 settimane di anticipo“.
Quindi, la produzione ha subìto una contrazione significativa rispetto al 2023, anno di abbondanza. “Per via dell’alternanza la resa è sempre diversa – spiega Giovanni – Di solito, in anni di carica, su 350 alberi la produzione media può raggiungere i 300 quintali, con dei picchi fino a 400 quintali in un anno. In anni di scarica invece si possono raccogliere anche solo 30-40 quintali. Noi quest’anno abbiamo raccolto 70 quintali, pochi.
Inoltre, c’è stata una cascola abbondante nel periodo primaverile, aggravata anche da forti venti. Infatti, il carrubo nonostante abbia una buonissima allegagione soprattutto perché fiorisce ad ottobre, periodo in cui i pronubi hanno poco da bottinare, soffre la cascola fisiologica. Tra il vento, il caldo e il fatto che ha piovuto poco, quest’anno l’albero non ha avuto la forza per mantenere i frutti”.
E dal punto di vista delle aziende che acquistano le carrube, com’è andata la stagione 2024? Ce lo spiega Tonino Parisi: “Noi abbiamo un centro di raccolta a Scicli e un deposito a San Giacomo e all’anno possiamo lavorare dai 30mila ai 50mila quintali di carrube. Quest’anno il raccolto è stato scarso. Generalmente ogni anno ci sono delle zone in cui si ha più produzione e zone in cui se ne ha di meno, perché è raro che tutte le piante siano in scarica o carica contemporaneamente. Eppure, quest’anno è stato uno dei pochissimi anni in cui la produzione si è uniformata e quindi la produzione è stata del 30-35% in tutta la Sicilia”.
Se l’alternanza di produzione è fisiologica e non ci si può fare niente, cosa si può fare per affrontare la siccità? Giovanni ha gestito il campo in questo modo: “Ci sono delle pratiche agronomiche che a mio avviso sono state fondamentali. Noi apportiamo sostanza organica per trattenere il più possibile l’acqua, attraverso concimi naturali e letame. Tendenzialmente la apportiamo un anno sì e uno no, alternando anche la coltivazione di frumento e grano tenero nel carrubeto”.
Il carrubo resta comunque una pianta capace di sopravvivere a lunghi periodi con ridotte disponibilità idriche ma ciò non vuol dire che non gli serva acqua per produrre. Come tutte le colture, infatti, se avesse dell’acqua produrrebbe di più, ma in assenza di acqua non secca, sopravvive e resiste producendo meno e restando comunque produttiva.
Uno sguardo al mercato della farina di seme
Lbg Sicilia è una delle poche aziende in Italia e nel mondo che lavora con la farina di semi di carrube. “Lbg sta per locust bean gum cioè il nome inglese della farina di semi di carrubo che è il prodotto di punta di tutta la filiera ed è quello che vale di più – racconta Massimiliano – Noi compriamo carrube nel mercato nazionale, cioè in Sicilia e in Puglia”.
Massimiliano stima che al momento la carruba è coltivata in Italia per il 10% in Puglia e per il 90% in Sicilia, di cui il 60% nella provincia di Ragusa e il 40% nella provincia di Siracusa.
E Massimiliano continua: “Però il mercato non lo fa tanto l’Italia. Il carrubo è naturalmente presente in quasi tutti i paesi del Mediterraneo. Noi compriamo in Italia le carrube intere, mentre in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo in cui si produce compriamo solo il seme, perché è ciò che ci interessa di più. La polpa rappresenta quasi un sottoprodotto per la filiera italiana”.
Se si parla di semi, il Marocco rappresenta oggi il principale paese produttore (40%), seguono Spagna (30%), Portogallo (10%), Italia (8%) a tutti gli altri paesi quali Grecia, Cipro, Tunisia, Algeria, Libano, Israele e Turchia.
Per questo Lbg Sicilia compra circa il 90% dei semi dall’estero: “Non lo facciamo perché sono migliori o perché costano di meno, ma perché in Italia non ce n’è abbastanza. Sarebbe bello se in Italia venissero piantati più carrubi, credo converrebbe a tutti, da tutti i punti di vista. Noi abbiamo clienti in 90 paesi del mondo e tecnicamente siamo la più grande azienda nel mondo in termini di volumi di produttività di farina di seme”.
Così con Massimiliano ci addentriamo a parlare della delicata tematica del prezzo: “Il prezzo della carruba non si determina tanto in Italia, ma si tratta di un prezzo globale. Le differenze sono legate principalmente alla qualità della farina che si può estrarre dai semi, che è diversa. In base alle zone, infatti, sappiamo per esperienza che ci sono effetti diversi. Quindi quando compriamo i semi non possiamo fare riferimento ad un prezzo univoco ma dobbiamo sempre relazionarci alla qualità di questi semi”.
Dalla qualità dei semi dipende infatti la qualità della farina e quindi il suo potere addensante che la rende un additivo alimentare.
“Ad ogni modo – continua Massimiliano – il prezzo dipende dal mercato e, come succede per tanti altri prodotti, il mercato è regolato dalla domanda e dall’offerta. Quando la domanda è alta e la disponibilità della materia prima sul mercato è bassa, i prezzi aumentano; quando la domanda è bassa o è sempre la stessa e l’offerta sul mercato aumenta, il prezzo non può fare altro che abbassarsi. Oggi il prezzo delle carrube è dato dai prezzi di acquisto e/o di vendita dei semi e della polpa. I prodotti che regolano il prezzo delle carrube intere sono fondamentalmente legati al valore che può avere la polpa e al valore che può avere il seme sul mercato”.
Oggi il prezzo della carruba è molto basso
Nonostante la produzione 2024 in Sicilia sia stata scarsa, il prezzo delle carrube è oscillato tra i 40 e i 50 centesimi al chilo; una cifra considerata appena sufficiente a coprire i costi di raccolta. Questo scenario economico critico scoraggia molti agricoltori che spesso addirittura decidono di non raccogliere i baccelli dagli alberi.
“Il prezzo delle carrube dipende solo ed esclusivamente dal prezzo del seme – dice Tonino, che fa il frangitore da più di quarant’anni – La polpa frantumata, non incide molto sul prezzo perché lo vendiamo sempre a circa 25 centesimi al chilo. Il prezzo del seme invece può variare dai 3 ai 35 euro al chilo”.
C’è stato un anno, che tutti ricordano, in cui il prezzo della carruba ha raggiunto i 3,80 euro. “Era carissima – racconta Tonino – era un prezzo astronomico. Praticamente sembra che molte industrie che usavano la farina di semi abbiano cercato dei sostituti che avessero un prezzo più stabile. Quindi a un certo punto è scesa la richiesta della farina di seme. Ma con il covid e alcuni porti bloccati le industrie sono tornate ad usare la farina di seme di carruba”.
Da un estremo all’altro perché ora il prezzo, 40-45 centesimi al chilo, è insostenibile per gli agricoltori come ci dice lo stesso Tonino: “Le carrube a questo prezzo non si possono più raccogliere perché la manodopera costa e non ci sono macchine per la raccolta. Quindi la raccolta influisce un 20-25 centesimi al chilo. Se poi ce ne sono poche come quest’anno, molti preferiscono lasciarle sugli alberi“.
A spiegare questa fluttuazione dei prezzi ci pensa anche Massimiliano che dice: “Da circa due anni ci sono prezzi bassi perché i prezzi alti, che sono stati raggiunti nel recente passato, hanno distrutto il mercato. Cosa vuol dire? Che il prezzo alto a cui un’azienda come la nostra era costretta a comprare le carrube si ribaltava sul prezzo di vendita dei nostri prodotti finiti. Quindi eravamo costretti a vendere la farina di semi a prezzi ulteriormente alti. I nostri clienti, giustamente, non avendo altra scelta all’inizio compravano comunque la nostra farina ma ad un certo punto facendo due conti hanno deciso di sostituire il nostro prodotto con altri somiglianti e che hanno un prezzo nettamente inferiore.
Il problema è che quando un’azienda cambia la ricetta, cambia un ingrediente e deve cambiare le etichette, l’autorizzazione ministeriale, l’organizzazione dei vari stabilimenti nel mondo e deve fare le prove per vedere se il nuovo prodotto funziona oppure no; nel momento in cui ha la possibilità di acquistare il prodotto a prezzi nuovamente competitivi, non è detto che torni ad usarlo nell’immediato.
Quindi queste oscillazioni così drastiche ovviamente fanno male e adesso è da due anni che abbiamo prezzi bassi come era prevedibile. Storicamente più o meno ogni 25-30 anni succede questa cosa, queste oscillazioni dei prezzi, e ora quello che cerca il mercato è una nuova stabilità. Significa che piano piano, negli anni e non nei mesi, se vogliamo dare un po’ di ossigeno al settore delle carrube il mercato deve dimostrare stabilità, cioè deve dimostrare a chi compra il prodotto di punta, che è la farina di seme, che i prezzi si sono stabilizzati e sono nella norma.
Oggi effettivamente sono un po’ bassi – continua Massimiliano di Lbg Sicilia – e siamo al limite perché i costi di produzione e di raccolta ci sono, nonostante la coltura del carrubo non richieda chissà quali cure colturali. Quando i produttori si limitano solo a raccogliere le carrube hanno infatti un costo al chilo di 20-25 centesimi, quindi il margine è risicato”.
Parlando con i vari addetti della filiera non è mai emersa una soluzione rapida a queste dinamiche dei prezzi; la soluzione sembra risiedere nel dimostrare stabilità e nell’investire nella coltura del carrubo conferendogli una valenza non solo produttiva ma anche ambientale e paesaggistica.
C’è distinzione tra carrube biologiche e non biologiche? “Circa 3 centesimi – spiega Tonino – Il seme e la carruba convenzionale valgono 45 centesimi, mentre quella biologica 48″.
Lo chiediamo anche a Massimiliano che dice: “C’è una differenza di prezzo tra carrube biologiche e carrube non biologiche del 5-10% in più sul prezzo.
Però questa distinzione non c’è per le differenti varietà perché in Sicilia fondamentalmente la varietà più coltivata è per il 90% la Latinissima e quindi quel 10% che rimane si mischia con il resto. In altri paesi probabilmente fanno una leggera distinzione perché quello che cambia è la resa in seme. In Puglia, invece, abbiamo una resa in seme molto più bassa che va più o meno al 6% e lì giustamente il prezzo è più basso perché le carrube, avendo meno seme, valgono meno”.
Filiera frammentata e scarsa collaborazione
Un elemento critico emerso durante le interviste è la frammentazione della filiera, caratterizzata da una scarsa cooperazione tra i vari attori coinvolti. Lo racconta per esempio Giovanni Giavatto che dice: “Anche tra noi agricoltori non c’è molta comunicazione. Paradossalmente se io vado dal mio vicino di casa non mi dirà mai quanto ha raccolto in questa annata. Si fa molto ostruzionismo sotto questo punto di vista, quindi non c’è cooperazione tra agricoltori e si tende molto a stare nel proprio”.
Eppure, per migliorare il futuro della coltivazione del carrubo, bisognerebbe puntare proprio su questi aspetti, collaborazione e innovazione, facendo conoscere i tanti usi della carruba e creando strategie di mercato che coinvolgano tutta la filiera in modo equo e sostenibile. Giovanni infatti continua: “Vorrei che nascesse una sorta di pubblicità, di propaganda o di momenti di informazione relativi all’importanza della coltivazione del carrubo e che si parlasse di più dei vari utilizzi del seme. Vorrei una maggiore valorizzazione delle varietà o delle coltivazioni a seconda delle caratteristiche richieste dal mercato: varietà a più alta resa in seme, accessioni selvatiche e/o coltivazioni di carrubo biologiche”.
Vantaggi e svantaggi della coltivazione del carrubo
“Il mondo ha bisogno di carrubi”, dice Massimiliano: “si tratta di una pianta sempre verde che cresce e produce anche senza input; se un agricoltore decidesse di dargli acqua e concimi riuscirebbe a produrre per due o tre volte. Attraverso diversi progetti con la nostra azienda stiamo cercando di spingere la coltura del carrubo non solo a livello degli agricoltori ma anche delle amministrazioni. Perché il carrubo è una coltura resistente, resiliente e tollerante a diversi stress sia di tipo biologico sia di tipo ambientale”.
Una vera arma contro i cambiamenti climatici? Potrebbe essere, visto che il carrubo può anche essere coltivato in associazione con altre piante in una visione agroecologica e di agroforestazione. Per esempio, si può abbinare a colture come il grano, i legumi e ad altri alberi come il mandorlo, l’olivo o la vite, altre piante aridoresistenti per eccellenza. Inoltre, grazie alla sua chioma molto espansa può fare sia da ombra che fornire foraggio agli animali al pascolo.
“Considera che qui in Sicilia gli impianti di carrubo sono impianti promiscui – spiega Giovanni – cioè non a sesti regolari. La nostra azienda, per esempio, si basa oggi non solo sui carrubi ma coltiviamo anche mandorlo, olivo e tutte quelle colture arboree che sono tipiche della macchia mediterranea. Nei campi dove ci sono anche i carrubi coltiviamo anche le erbacee come ad esempio il grano. È una pratica normale consociare il carrubo oppure si lascia al pascolo, così il campo si fa inerbire con essenze spontanee o ideali per il pascolo”.
Tra i limiti della coltura si annovera il prezzo delle piantine e il fatto che per entrare in produzione ci possano volere anche più di 20 anni. Giovanni ci spiega qual è il valore delle piante da vivaio: “Qui si parla di piante in fitocella che costano sei euro quando hanno un anno e 15 euro quando hanno due anni. Quindi risulta un po’ faticoso e oneroso fare un impianto nuovo ed è un investimento che vede un ritorno economico dopo tanto tempo.
Per esempio, io l’anno scorso ho fatto un progetto per una casa che aveva la fortuna di avere un viale pieno di carrubi in sesto ogni 8 metri. Ne mancavano due, quindi con il proprietario abbiamo deciso di andare in vivaio ad acquistare delle piante adulte per metterle in questo viale. Si trattava di piante non innestate di circa vent’anni trapiantate da seme con un diametro del fusto non molto grande (40-50 centimetri) e alte due metri. Le abbiamo pagate 1500 euro ciascuna”.
Cosa consiglia quindi l’agronomo e agricoltore Giovanni a chi vorrebbe cominciare a coltivare carrubi? “Di avere pazienza. È una coltura, un po’ come i tamarindi e il pistacchio, che ha bisogno di tempo e di attenzione. Chiaramente la pianta autoctona è resistente alla siccità, quindi ha bisogno di pochi input. Ma io da agronomo e appassionato consiglio di trattarla bene anche apportando azoto quando ce n’è bisogno per far sì che diventi una cultura da reddito”.
Anche Massimiliano si esprime sulla redditività del carrubo: “Il carrubo è una coltura redditizia nel momento in cui si coltiva in terreni marginali. In questo modo si sfruttano dei terreni dove non si può fare altro. Io credo che il mondo abbia bisogno di sostenibilità e ha bisogno di colture sostenibili. Il carrubo è una di queste indipendentemente dagli aspetti economici. Il mondo ha bisogno di verde, di piante e di alberi e tra gli alberi il carrubo dovrebbe essere messo in cima alla lista. Inoltre, con il fenomeno della tropicalizzazione del clima la coltura del carrubo oggi potrebbe non limitarsi solo alle aree del Mediterraneo ma raggiungere anche il Nord Italia”.
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