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Imprese Controvento a Nord Est: «Numerose ma piccole. Legare i finanziamenti ai progetti di filiera»


«Nel Triveneto c’è un nucleo di aziende molto forti, che ormai da sei anni aiutano il territorio a classificarsi ai vertici della numerosità di imprese che soddisfano i requisiti di velocità di crescita e di redditività necessari per entrare nella selezione Controvento. Tuttavia, se si guardano i ricavi delle maggiori aziende delle tre regioni, si osserva che in media sono inferiori rispetto alle imprese della stessa classe dimensionale del resto d’Italia».

Lucio Poma, direttore scientifico di Nomisma e coordinatore della ricerca Controvento sulle imprese capaci di trainare il sistema industriale nazionale, parte da qui per analizzare i risultati ottenuti da Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige nell’edizione di quest’anno.

Professor Poma, innanzi tutto il numero di imprese del territorio che riesce a superare i selettivi sbarramenti che utilizzate: quasi un quinto del totale appartiene alle tre regioni. Un ottimo risultato, giusto?

«Certamente, e soprattutto un risultato che si conferma anno dopo anno. Non è una cosa da poco, se si considera che i requisiti sono estremamente difficili da raggiungere e che ogni anno circa la metà di quelle che ce la fanno cambia. Per restare stabilmente nella selezione occorre investire in maniera continua, basta rallentare un po’ e si rischia di uscire».

I dati mostrano però che le aziende del Triveneto sono spesso più piccole delle altre.

«Dipende a che fattore si guarda. Se si considerano i dipendenti, quelle che hanno fino a nove addetti – le piccolissime – le Controvento sono più numerose nel resto d’Italia che nelle tre regioni del Nord Est, mentre la distribuzione è abbastanza simile per quelle da 250 dipendenti in su. La situazione cambia, invece, se si considerano i ricavi. Per quelle sopra i 250 dipendenti, i ricavi medi sono di 374 milioni nel Triveneto e di 436 milioni a livello italiano. Se poi si fa il confronto con una regione “cugina” come l’Emilia Romagna, la differenza diventa molto ampia, perché i ricavi medi raggiungono i 762 milioni».

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Come da tradizione, dunque, il Nord Est resta la terra delle imprese medie e medio-piccole?

«In realtà la situazione è più complicata di così. Nel Nord Est ci sono aziende eccellenti, anche di grandi dimensioni, che però spesso svettano in settori che nel complesso, a livello nazionale, non sono tra i più dinamici. Lo si nota molto bene guardando un altro dato che emerge dalla ricerca, quello delle aziende che sono sempre riuscite ad entrare nella selezione in tutte le sei edizioni realizzate. Noi le chiamiamo Star, perché sono davvero le stelle dell’industria. Ebbene, il Triveneto ha ben 12 Star, il 26 per cento di tutte e 47 le italiane. Se però si guarda il fatturato di queste 12 stelle, vale soltanto il 9 per cento di quello di tutte le 47 Star italiane».

Perché questa differenza?

«Credo che una risposta emerga dal confronto con l’Emilia Romagna. Nel Nord Est le imprese sono cresciute dal basso, grazie alle qualità di molti imprenditori che hanno saputo farsi spazio. In Emilia, invece, negli ultimi vent’anni è stato seguito un approccio top down: sono stati realizzati supercalcolatori, tecnopoli, sono state rafforzate le filiere industriali grazie a bandi di finanziamento cui si poteva partecipare solo mettendo insieme università, aziende capofiliera e fornitori più piccoli».

L’Emilia ha beneficiato della presenza di due aziende uniche al mondo, la Ferrari e la Lamborghini, sulla cui rinascita il colosso Volkswagen-Audi ha investito importanti risorse.

«Ma la regione è forte in tantissimi dei settori più dinamici della manifattura italiana, non solo nell’automotive. Ci sono aziende capofiliera nella farmaceutica, nel biomedicale, nel packaging. Vent’anni fa l’industria emiliana non era così diversa da quella delle Marche, ad esempio, ma da allora ha fatto passi da gigante. Questa trasformazione è stata possibile grazie al cambiamento dei distretti industriali: una volta servivano per abbassare i costi di produzione, oggi per creare una dinamica innovativa, riducendo i costi della sperimentazione. La differenza si vede anche con esempi esteri: l’austriaca Ktm è in difficoltà perché ha 130 mila moto invendute, mentre la Ducati, che ha investito molto in innovazione e vinto mondiali, sta andando molto bene».

Veneto e Friuli Venezia Giulia stanno investendo molto nell’aerospazio e, con la logica della filiera, e in Veneto è partito il bando per la realizzazione di un satellite. Può essere una strada da seguire?

«Certamente. L’importante è che il progetto non resti un caso isolato ma che il territorio si metta nell’ottica di realizzare l’intero satellite, stimolando l’innovazione sul territorio».

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