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Calabria, ponte tra memoria e speranza


C’è un occhio, talvolta sgranato, altre volte socchiuso con malcelata supponenza, che dal Nord si posa sulla Calabria e sulle terre del Sud Italia. È uno sguardo deformato, ingabbiato in un immaginario collettivo che non concede spazi di autenticità. Sono terre di storia nobile, di secoli intrisi di bellezza, eppure schiacciate sotto il peso di una narrazione mediatica che le inchioda a una teodicea di stereotipi. Si racconta di indifferenza, di fragilità civile, ma è un racconto scritto da chi non si è mai fermato a calpestare quei luoghi. La prossimità, quella vera, spalanca orizzonti e ridisegna il quadro: cambia tutto, perché l’esperienza del toccare con mano è più forte di qualsiasi giudizio a distanza.

La tragedia di Cutro

In questo gennaio che si siamo lasciati alle spalle, ho visto, durante una breve vacanza all’inizio dell’anno, una Calabria che non ha nulla a che fare con l’immagine da cartolina, ma che è poesia viva, che parla nel silenzio dei suoi paesaggi. Il mare, sì, cristallino e intenso, ma anche le valli, le montagne che si ergono come sentinelle, i paesini abbracciati alla roccia, testimoni di un’altra vita, quella di chi ha conosciuto il dolore e l’ha trasformato in resistenza. Qui, come in un sogno, le cicatrici di un passato lontano non sono ferite aperte, ma segni di una forza che non conosce fine e si radica nelle vestigia di una civiltà che affonda nel meglio della Magna Grecia.

Non c’è nulla di aulico in questo, non è un affrettato elogio da guida turistica: basta andare pochi minuti nel luogo più impattante che ho visitato: la spiaggia di Steccato di Cutro, nel punto esatto dove, nel febbraio del 2023, la tragedia si è consumata silenziosa, lontana dalle rotte migratorie tradizionali, tra le onde e il buio di una notte che ha inghiottito speranze e sogni. Novantaquattro vite spezzate, di cui trentaquattro bambini, su una barca che cercava la salvezza e invece ha trovato la morte. In quel punto lontano, un angolo di Calabria che sembra fatto apposta per ospitare la bellezza, si è consumato un dramma che ha strappato il cuore di chi ha visto. Eppure, anche in questo dolore, c’è una luce: quella di una terra che, nonostante tutto, non smette di sperare e continua ad ospitare.

Dove la memoria si fa carne

E il paesaggio è il racconto di secoli che si sono rincorsi, si sono sovrapposti, lasciando tracce indelebili. Le rovine delle antiche colonie greche, Crotone (Kroton), l’antica Kaulon, Locri, che ci parlano di un mondo lontano ma ancora vivo nella terra, nei Bronzi di Riace, nelle città romane come Scolacium, ma anche nei monasteri e negli eremi costruiti oltre mille anni fa dai monaci basiliani o nelle pietre delle chiese bizantine che sembrano sussurrare preghiere antiche. La Calabria è un palcoscenico dove il tempo non scorre, ma si intreccia, come un filo invisibile che lega passato e presente.

Bronzo di Riace (foto Ansa)
Bronzo di Riace (foto Ansa)

Eppure, non è solo il ricordo che la Calabria custodisce, ma una fede che ha radici profonde, che si nutre di silenzi e di sacrificio. In questa terra, la spiritualità non è un’apparenza, ma una forza che modella il mondo. I monasteri nascosti tra le montagne, le chiese scolpite nella roccia da secoli, ma anche i santuari appena completati, come quello straordinario di Natuzza Evolo, sono i luoghi dove la memoria si fa carne, dove il dolore diventa speranza.

Una speranza che si ritrova nelle mani di chi, nonostante le cicatrici della storia, ha sempre saputo rialzarsi, anche perché ha sempre saputo fidarsi e affidarsi al sacro, al trascendente non in modo astratto o magico ma nella presenza carnale di Gesù, di Maria: quante apparizioni mariane hanno lasciato tracce visibili in Calabria, come il sorprendente quadro della Madonna del Rosario delle Lacrime di Sangue di Maropati, che cominciò a lacrimare e sanguinare nel 1971 nella casa del sindaco comunista del Paese che prima cercò di nascondere il tutto e poi si convertì di fronte alla presenza fisica del Mistero. Fino ai tanti Santi antichi e attuali, perlopiù sconosciuti al grande pubblico, generati da questa terra: dai remoti monaci eremiti come San Giovanni Theristis (vissuto a cavallo dell’anno mille e a cui ancora oggi è dedicato un monastero greco-ortodosso a Bivongi) a San Gaetano Catanoso (di cui a Pentedattilo si visita la stanza in cui è vissuto fino al 1963) o al Beato Francesco Mottola di Tropea, dove morì nel 1969.

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Aprirsi senza snaturarsi

C’è qualcosa di straordinario in questa terra calabra, una bellezza che non si offre mai facilmente. Non è la bellezza di chi vuole essere vista, ma quella di chi sa di dover essere cercata. È una bellezza che sfugge, che resiste, come una voce sottile che non vuole essere silenziata.

E allora la domanda nasce spontanea: perché una terra così ricca di storie, di cultura, di natura, non è ancora diventata un luogo di pellegrinaggio mondiale? Forse perché la Calabria non si lascia consumare, ma chiede di essere ascoltata, rispettata, accolta. Io credo che sia proprio questa la sua forza: la capacità di farsi conoscere senza perdere sé stessa, di aprirsi senza mai snaturarsi. Una terra che ha tanto da insegnarci, che ci invita a non guardarla distrattamente, ma a fermarci, ad aprire il cuore per ricevere ciò che ha da offrire. Perché la Calabria è una risorsa, non solo per l’Italia, ma per il mondo intero. Un ponte tra memoria e speranza, tra ciò che siamo stati e ciò che potremmo ancora diventare.



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