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“Le foibe spiegate ai ragazzi” da testimoni e sopravvissuti. Il libro della giornalista Greta Sclaunich sui fatti del ’43 e del ’45


“C’è un pezzo di storia italiana che ancora fatica a trovare spazio nei testi scolastici e, più in generale, nella memoria collettiva. È la storia di istriani, fiumani, dalmati: uomini e donne nati e cresciuti in una terra di confine e che durante la Seconda Guerra Mondiale hanno sperimentato il dramma delle foibe prima e dell’esodo poi”. Le parole scritte nella quarta di copertina e nell’introduzione di “Le foibe spiegate ai ragazzi” (Piemme) scritto da Greta Sclaunich in collaborazione con l’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, bastano a spiegare il senso di questo lavoro editoriale uscito in questi giorni nelle librerie. Un libro necessario, utile e ben fatto grazie anche alle mappe riportate nelle prime pagine che aiutano i più giovani a comprendere una storia geopolitica ed etnica complessa, quella del confine orientale. Dove dai primi anni ’20 il fascismo vessò la parte slava e croata della popolazione della Venezia Giulia e poi, alleato di Hitler, occupò la Jugoslavia internando e uccidendo. E dove, nell’autunno del ’43 e poi nel ’45 la risposta slava, la stessa guerra partigiana di liberazione e i piani del leader Josip Brezo Tito per la corsa ad annettersi la Venezia Giulia si trasformarono, per tanti italiani e non solo, in un vero incubo, segnando per sempre la memoria nazionale.

Sclaunich, giornalista del Corriere della Sera, nata e cresciuta in provincia di Gorizia ha scelto di raccontare la tragedia delle foibe attraverso le storie di chi ha vissuto quel dramma prima e dopo. Non solo. L’autrice dà voce in quest’opera anche a Egea Haffner, divenuta l’icona dell’esodo giuliano dalmata per quella foto della “bambina con la valigia” scattata da Giacomo Szentivànyi: “La notte del 4 maggio 1945 – racconta la sopravvissuta – tre poliziotti slavi in abiti borghesi dall’aspetto aggressivo bussarono alla porta della nostra casa. Prelevarono mio padre e lo portarono via con la scusa di dover fare degli accertamenti. Quella fu l’ultima volta che lo vedemmo. La nostra famiglia fu condannata a non conoscere mai la verità, anche se fummo quasi certi che fu gettato in una foiba. Era dal giorno dell’armistizio dell’8 settembre 1943 che nessun italiano della Venezia Giulia si sentì più al sicuro. Fu allora che nelle famiglie istriane e dalmate si cominciò a sussurrare con terrore la parola foibe”.

A spiegare ai ragazzi cosa sono le “foibe” è l’Associazione nazionale Venezia Giulia Dalmata, che racconta degli abissi di origine naturale che scendono nel sottosuolo per decine di metri: un fenomeno puramente geologico fino a quando non vengono trasformate nei luoghi dove far sparire i corpi di quanti furono uccisi per rappresaglia, vendetta o, in particolare nel ’45, per togliere di mezzo chiunque fosse considerato d’ostacolo all’annessione di Trieste e ai progetti jugoslavi in quello che gli storici considerano l’inizio della guerra fredda. Il resto – la storia di chi fugge, dei campi profughi, di chi è scampato, di chi si ricorda ancora quello che è accaduto – è affidata alle narrazioni di Erminia che a dodici anni vede scomparire una cara amica; di Graziano che precipitò nel vuoto senza fine da cui si salvò miracolosamente; di Italia che stringe tra le mani la sua teiera rossa, simbolo del giorno in cui, per rimanere in italiana, fu costretta a lasciare la sua casa senza sapere nulla del suo futuro. Ad arricchire il testo, in appendice, sono una serie di consigli letterari, filmografici e teatrali a cui i docenti e i genitori possono attingere per spiegare una ferita del nostro Paese.

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