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Acqua e dighe irrigue al Sud, tra limiti e vincoli – Economia e politica


Nei giorni scorsi in Sicilia ha tenuto banco la storia della Diga Trinità su fiume Delia nel trapanese, per la quale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha chiesto lo svuotamento per motivi di sicurezza. Un pugno nello stomaco per le imprese agricole che soffrono per la siccità: la Trinità ha una capacità massima di 18 milioni di metri cubi d’acqua e al 1° gennaio 2025 conteneva 4 milioni e 470mila metri cubi di preziosa risorsa da destinare ad esclusivo uso irriguo, per giunta un milione di metri cubi in più del primo dicembre 2024.

 

Un caso che ha fatto sobbalzare i vertici dell’Anbi nazionale, da dove si grida al tradimento per incuria dell’intervento straordinario, che con la Cassa del Mezzogiorno portò nelle regioni del Sud ingenti investimenti in opere idrauliche, proprio al fine di prevenire la siccità e introdurre l’agricoltura irrigua in aree dove prima si coltivava solo in arido.

 

Eppure, se quello della Diga Trinità si presenta come un caso limite, resta vero che sono profondi oggi i limiti di utilizzo delle dighe al Sud, come testimoniano gli stessi dati del Registro Dighe del Mit: più avanti ne diamo conto, sulla base dei dati pubblici del Ministero delle Infrastrutture, aggiornati al 31 dicembre 2023, alla vigilia della grande siccità del 2024 che ha duramente colpito Puglia, Basilicata, Calabria e soprattutto la Sicilia. Ma ecco ora cosa è successo in Sicilia con la Diga Trinità.

 

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Diga Trinità, nominato il commissario

Da tempo l’invaso e la Diga Trinità sono bisognosi di interventi strutturali. E dal Mit il 14 gennaio arriva l’ordine di svuotamento per motivi di sicurezza, che però cade nel vuoto. Non più tardi del 6 febbraio 2025, il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, provvede a commissariare ad acta il Dipartimento Acque e Rifiuti della Regione, per gestire quella che ormai è un’emergenza, al punto che il commissario risponde al nome di Salvo Cocina, direttore del Dipartimento Protezione Civile.

 

In una nota della Regione Siciliana del 7 febbraio scorso si legge che la nomina “si è resa necessaria in seguito al provvedimento del Mit dello scorso 14 gennaio che sollecitava lo svuotamento dell’invaso ubicato in provincia di Trapani per ragioni di sicurezza e in cui venivano evidenziate una serie di inadempienze da parte del Dipartimento Regionale dell’Acqua e dei Rifiuti, tra queste il ritardo nell’emanazione dell’avviso di pericolo, l’assenza di comunicazione alla presidenza della Regione della situazione critica e la grave carenza di interlocuzione con gli uffici ministeriali nonostante le sollecitazioni ufficiali”. Un caso estremo, sicuramente, ma le situazioni che riducono la capacità delle dighe di apportare i benefici attesi dagli agricoltori sono diverse e spesso nascoste anche sotto un’apparente veste di normalità.

 

Anbi, servono investimenti al Sud

“Quanto sta accadendo in Sicilia, dove convivono drammaticamente siccità ed alluvioni, ripropone un tema annoso, frutto di decenni di colpevoli non-scelte bipartisan: quanto costa all’isola la mancata economia delle manutenzioni?” A chiederlo è Francesco Vincenzi, presidente di Anbi, che prosegue: “Il Sud è stato destinatario di lungimiranti interventi, realizzati attraverso la Cassa del Mezzogiorno che, pur criticabile per altri aspetti, finanziò la realizzazione di invasi per combattere il rischio siccità in quei territori. A tali investimenti, però, non è seguita negli anni la necessaria cura, così da arrivare all’eclatante caso della Diga Trinità, nel trapanese”. E aggiunge: “Negli stessi anni non si è provveduto neppure alla realizzazione dei necessari schemi idrici per trasportare l’acqua nei territori come dimostra il caso del Molise sovrabbondante d’acqua e della confinante Capitanata di Puglia in emergenza idrica, anche per l’uso potabile”.

 

Secondo Anbi al Sud servono investimenti per circa 1,9 miliardi di euro, per realizzare 222 interventi, la pulizia di 45 invasi ed il completamento di altri 10.

 

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A caccia delle dighe a mezzo servizio

Ma dove sono le tante dighe sparse per l’Italia meridionale che non riescono a lavorare a pieno regime? Un calcolo su tutte le dighe è impossibile, poiché molte sono piccole e sotto il controllo delle regioni, ma già dando uno sguardo ai dati del Registro Dighe del Mit, è possibile capire che il fenomeno è vasto e diffuso.

 

Il Registro Dighe è aggiornato al 31 dicembre 2023 ed è una fotografia dell’Italia meridionale dei grandi invasi alla vigilia della siccità del 2024. In questo registro, ai sensi del Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 luglio 2014, sono censite le cosiddette grandi dighe – ovvero sbarramenti di ritenuta (dighe o traverse fluviali) di altezza superiore a 15 metri o che realizzano un serbatoio artificiale di volume superiore ad un milione di metri cubi d’acqua.

 

Sardegna 9 invasi irrigui ancora sperimentali

In Sardegna a fine dicembre 2023 su 59 dighe di competenza dell’Ufficio Dighe di Cagliari del Mit, 28 sono a prevalente o esclusivo utilizzo per fini irrigui. Di queste, 2 figurano in costruzione e solo 13 si trovano in condizioni di esercizio normale, anche se una, la Rio Mannu Pattada, presenta limitazioni al riempimento dell’invaso.

Più della metà delle dighe sarde ad uso irriguo a fine 2023 sono in esercizio sperimentale o fuori esercizio (ben 5), quindi svuotate, mentre 2 risultano in costruzione.

 

Ma cosa significa che una diga è in esercizio sperimentale? La definizione può significare cose diverse. Ma in Sardegna tutte le 8 dighe ad uso irriguo sono nella fase “in corso invasi sperimentali”, quindi le prove di riempimento prima di quella di collaudo, che consente di raggiungere il massimo riempimento della struttura. In pratica alla vigilia della siccità 2024 sono a mezzo servizio.

 

Ufficio Dighe Napoli, 17 dighe in fase sperimentale

A Napoli l’Ufficio Dighe del Mit sovraintende a ben 60 impianti localizzati in 5 diverse regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata e Puglia.

In questo pezzo di Sud ben 31 dighe sono destinate a prevalente utilizzo irriguo, di queste una a fine dicembre 2024 risulta fuori esercizio, ma solo 13 sono in esercizio normale. Tra queste figurano dighe importantissime, come Occhito sul fiume Fortore in provincia di Foggia e Pertusillo su fiume Agri in Basilicata. Eppure quest’ultima è soggetta a limitazioni d’invaso, come pure la Diga di Serra del Corvo, posta tra Puglia e Basilicata.

 

Ma altre 17 dighe figurano invece in esercizio sperimentale. E tra queste spicca il nome di Monte Cotugno, la diga che sbarra fiume Sinni e dà origine all’acquedotto omonimo: un gigante da quasi 500 milioni di metri cubi d’acqua che risulta al tempo stesso in fase sperimentale e con in corso lavori di manutenzione straordinaria a causa della vetustà dell’opera: “Al momento l’invaso è sottoposto ad una limitazione – ovvero non è consentito raggiungere il massimo riempimento – è scritto in una nota del Mit – in attesa che vengano eseguiti lavori di manutenzione straordinaria del manto di tenuta (realizzato ormai circa quarant’anni fa) e di ripristino ed adeguamento degli impianti tecnologici”.

 

Scorrendo tra i nomi degli invasi sperimentali al c’è anche quello – importantissimo – di Conza della Campania su fiume Ofanto: porta l’acqua dal Sud della regione all’alto barese e da lì fino all’invaso di Marana Capacciotti, che contribuisce ad irrigare la provincia di Foggia. All’invaso di Conza della Campania sono in corso “invasi sperimentali delle opere originarie”, manca quindi ancora il collaudo. Stessa condizione della Diga di Ponte Liscione, che sbarra in Molise il fiume Biferno, la cui acqua fa ora gola alla Regione Puglia, da dove il presidente Michele Emiliano ha lanciato un appello al Governo per costruire opere di collegamento tra Liscione e Occhito.

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Calabria, una sola diga a pieno regime

L’Ufficio Dighe di Palermo, sezione di Cosenza, in Calabria, controlla 20 dighe, delle quali 8 a prevalente uso irriguo. Tra le dighe a uso irriguo 3 sono in normale esercizio, ma 2 presentano limitazioni all’invaso: Monte Marello e Castagnara Metramo. L’unica che funziona a pieno regime è la Vasca Sant’Anna, in provincia di Catanzaro. Delle restanti cinque, una è fuori esercizio, 3 sono in fase sperimentale con in corso invasi sperimentali sulle opere originarie, un’altra invece, sempre in fase sperimentale, ha in corso lavori di manutenzione straordinaria.

 

Ufficio Dighe Palermo, molte limitazioni

A Palermo l’Ufficio Dighe del Mit ha sotto controllo 46 dighe poste in Sicilia, di queste 26 sono a prevalente utilizzo irriguo. Delle dighe a uso irriguo a fine dicembre 2023 solo 15 sono in esercizio normale, ma 6 di queste presentano “limitazioni d’invaso”, in pratica non possono raggiungere la linea di massimo invaso, che complessivamente consentirebbe di mettere a disposizione del comparto irriguo siciliano qualcosa come 197,5 milioni di metri cubi d’acqua. Invece, ben al di sotto di quella linea vanno periodicamente alleggerite, perdendo ingenti volumi d’acqua in mare.

 

E tra le 6 dighe con limitazioni al riempimento dell’invaso c’è la Don Sturzo sul Gornalunga: da sola potrebbe raccogliere fino a 110 milioni di metri cubi d’acqua, ma non si può. Altro gigante con limitazioni d’invaso è la Diga Pozzillo su fiume Simeto, avrebbe una capacità d’invaso da 150,50 milioni di metri cubi d’acqua.

 

Ovviamente in Sicilia non mancano gli invasi sperimentali: ben 8 e tutti con in corso riempimenti sperimentali sulle opere originarie, prive di collaudo e con possibili limitazioni d’invaso. Tra queste c’è la Diga Trinità, finita alla ribalta nei giorni scorsi per l’ordine di svuotamento giunto dal Mit. Altre 2 sono dismesse, mentre è ancora in costruzione Pietrarossa sul Simeto, che quando sarà operativa avrà una capacità d’invaso da 45 milioni di metri cubi, consentirà di irrigare 17mila ettari nella Piana di Catania e servirà a tutelare la riserva della Diga Don Sturzo su fiume Gornalunga.



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