Roma, 13 febbraio – Il “moglie e buoi dei paesi tuoi”, ormai è evidente, nel Bel Paese non vale davvero in materia di cure e salute: sono infatti sempre di più gli italiani che si spostano al di fuori della loro Regione di residenza per curarsi, anche se è il caso di precisare subito che (nella stragrande maggioranza dei casi) non lo fanno per scelta ma perché non trovano strutture adeguate vicino casa.
A certificarlo è l’ultimo report della Fondazione Gimbe, che “incroci” i dati forniti dell’Agenas, l’Agenzia del ministero della Salute per i servizi sanitari regionali e quelli comunicati dalle singole Regioni.
In termini economici, nel 2022 la mobilità sanitaria inter-regionale ha raggiunto la cifra record di 5,04 miliardi di euro, il livello più alto mai registrato da quando esistono le rilevazioni. Il balzo rispetto all’anno passato è notevole, +18,6% in termini percentuali e 800 milioni di euro circa in valori assoluti. Il dato significa una sola cosa: lo squilibrio tra Nord e Sud nel Paese, in materia di accesso ai servizi per la tutela della salute, aumenta drammaticamente, anche auto-alimentandosi: il flusso di pazienti e di risorse economiche che escono dalle Regioni del Sud ma anche da quelle del Centro (come il Lazio) per indirizzarsi verso Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto (le Regioni sanitariamente più attrattive) produce l’inevitabile effetto – tra gli altri – di “impoverire” ulteriormente i servizi sanitari di Regioni già svantaggiate e portare ulteriori risorse a quelle più “ricche”.“Questi numeri certificano che la mobilità sanitaria non è più una libera scelta del cittadino, ma una necessità imposta dalle profonde diseguaglianze nell’offerta dei servizi sanitari regionali” spiega il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta (nella foto).Una mobilità coatta, dunque, originata dalla necessità di trovare cure adeguate, che impone a chi è costretto a spostarsi un pesantissimo fardello di costi di costi non solo economici, ma anche sociali e psicologici.Le Regioni più attrattive, come già anticipato, sono la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Veneto, dove si dirige più della metà dei pazienti che cercano cure al di fuori della loro Regione. Per contro, le Regioni costrette a pagare i maggiori costi per le cure ricevute dai propri residenti da altri servizi sanitari regionali sono il Lazio (che può però contare su una parziale compensazione per essere, a sua volta, un polo di attrazione di pazienti di altre Regioni), la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia.In generale, le Regioni del sud hanno visto aggravarsi il proprio saldo negativo per la mobilità sanitaria passiva, fenomeno che – per paradossale che possa sembrare – interessa anche la Lombardia. A spiegarne le ragioni è sempre Cartabellotta, evidenziando come i dati mostrino la complessità della questione. “Oltre alla fuga di pazienti dal Sud, esiste anche una mobilità di prossimità” chiarisce il presidente di Gimbe. “Regioni come Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto pur essendo molto attrattive, registrano comunque una mobilità passiva rilevante. Questo dimostra l’elevata circolazione di pazienti verso Regioni vicine con offerta sanitaria di qualità elevata”.
Un versante forse non considerato a sufficienza ma che Gimbe tende invece a sottolineare è che la mobilità sanitaria non è un fenomeno che si esaurisce nella sfera della salute pubblica, ma coinvolge – e in misura molto rilevante – anche le strutture private accreditate, che incassano più della metà della spesa (il 54,4%, per l’esattezza) per ricoveri e prestazioni specialistiche fuori Regione. Gimbe fornisce le cifre: le cure “in trasferta” degli italiani portano 1879 milioni alle strutture private e 1573 milioni alle strutture pubbliche (pari al 45,6% del totale).
Per Cartabellotta, la crescita del privato accreditato nella mobilità sanitaria è un indicatore sia dell’indebolimento del servizio pubblico, sia della capacità attrattiva dell’offerta privata, “seppur molto diversa tra le varie Regioni” , annota il presidente di Gimbe.
Le strutture private assorbono oltre il 60% della mobilità attiva in Molise (90,6%), Lombardia (71,4%), Puglia (70,7%) e Lazio (62,4%). In altre, invece, il privato ha una capacità attrattiva inferiore al 20%: Valle D’Aosta (16,9%), Umbria (15,5%), Liguria (11,9%), Provincia autonoma di Bolzano (9,9%) e Basilicata (8,9%).
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