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così il grande capitale si è impadronito di istituzioni e libertà


È opinione comune che il diritto sia una tecnica per comporre conflitti di interessi davanti ad un giudice o per prevenire incidenti giudiziari. In realtà, se si riflette sul libro appena uscito di Carlo Iannello dedicato a Lo Stato del potere. Politica e diritto al tempo della post-libertà (Meltemi, 2025) si riscopre che il diritto ha anche un’altra funzione, ovverosia quella di offrire schemi di lettura, e cioè modelli di analisi, delle dinamiche e dei cambiamenti che attraversano una società, in una prospettiva assai prossima a quelle che si chiamano comunemente scienze sociali. E si scopre che l’analisi degli interessi che si muovono all’interno di una società attraverso la lente del diritto è uno strumento di conoscenza della realtà insostituibile.



La riflessione sul potere e sulle sue trasformazioni nell’età presente – ecco lo Stato del potere di cui nel titolo – è il filo rosso dell’analisi condotta da Iannello. Sullo sfondo sta la vecchia, classica differenziazione condotta da Weber tra potere economico, potere tecnico-scientifico, potere politico. È un’analisi che, muovendo dalle rappresentazioni del rapporto tra politica ed economia del primo liberalismo, arriva ai giorni nostri e mette in luce come la sovrapposizione e l’intreccio fra le diverse forme di potere realizzatasi negli ultimi decenni abbia prodotto risultati definitivi e, verrebbe da dire, terminali per il potere politico incarnato dallo Stato.



E soprattutto mette in luce come le grandi acquisizioni del pensiero istituzionale del Novecento – quello fondato sul ruolo dei partiti di massa, sulla mediazione politica fra capitale e lavoro, e sulla funzione redistributiva dello Stato – siano state ormai smantellate; e sopravvivano o come memorie di un passato a volte idealizzato (quello dei cosiddetti “Trenta Gloriosi”, fra il 1945 e il 1975), o come istituti di quel costituzionalismo sociale del dopoguerra che, trasfigurati dai cambiamenti in corso, sopravvivono a fatica nel nuovo contesto dominato da potere economico-finanziario e potere tecnico-scientifico.


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In questo quadro, ci dice Iannello, “la nuova sede del potere si trova, pertanto, oltre lo Stato, riducendo quest’ultimo a una cinghia di trasmissione del comando” (p. 133). Sicché tutti gli istituti del costituzionalismo classico a cui siamo avvezzi – quello costruito sul binomio libertà/democrazia – continuano sì a funzionare e ad essere presenti nel discorso pubblico, ma sono piegati a logiche diverse, che di quel costituzionalismo conservano le forme, ma hanno smarrito la sostanza. Il governo degli Stati è sostituito dalla governance di sistema.

Gli apparati amministrativi di erogazione di servizi ai cittadini, dalla sanità all’istruzione, dall’università alla previdenza, sono attraversati dalla logica della continua concorrenza reciproca (il regionalismo competitivo; la concorrenza fra territori; la concorrenza tra pubblico e privato nell’erogazione dei servizi). Persino i classici diritti del primo liberalismo, e cioè proprietà privata e libertà personale, manifestazione del pensiero e libertà politiche, sono ridefiniti e svuotati dal confronto tra soggetti privati formalmente uguali, in realtà profondamente differenziati dalla divisione fra grande capitale ed individuo isolato.

Capovolgimento dello Stato di diritto e svuotamento dello Stato sociale: queste sono le formule impiegate per descrivere il presente dopo le trasformazioni degli ultimi decenni. Chiave di queste trasformazioni è stata, secondo Iannello, l’ideologia neoliberale (il neoliberalismo di Michel Foucault) che ha pervaso l’Occidente degli ultimi decenni e che ha realizzato, attraverso la regolamentazione giuridica, quella saldatura tra potere finanziario e potere tecnologico che si è manifestata, innanzitutto in Europa, non più come discorso sull’ordine naturale del mercato (il vecchio liberalismo classico con la sua mano invisibile), ma come tendenza inarrestabile alla pianificazione su base razionale dello sviluppo economico e dell’evoluzione sociale di questa parte di mondo.

In questo nuovo ambiente artificiale costruito dal diritto, il potere dei giganti economici e tecnologici dell’Occidente non ha solo ridotto lo Stato a “cinghia di trasmissione del comando” e quindi del vero potere, ma ha dato vita ad una ristrutturazione complessiva dell’immaginario sociale, all’interno del quale un anonimo e impersonale “mercato”, popolato da attori apparentemente inafferrabili e sfuggenti, ha preso il posto dello Stato medesimo come scenario in cui collocare l’esistenza individuale. Ed in questo scenario, in cui le tradizionali forme di aggregazione politica, e cioè partiti e sindacati, hanno perso ruolo, l’individuo è destinato a farsi impresa di sé stesso.

L’analisi di questo passaggio è lunga e articolata. Qui vale solo la pena di mettere a fuoco come dominante sia stato il ricorso alla vecchia categoria dell’emergenza come strumento per l’accelerazione del trapasso dal vecchio al nuovo ordine politico e creare una nuova governamentalità; come in virtù dell’emergenza perenne (di volta in volta economica, sanitaria, ambientale) le grandi strutture tecnico-finanziarie abbiano ormai affiancato, se non superato, il ruolo degli Stati nella elaborazione delle politiche che attraversano l’Occidente, surrogandone le funzioni; come queste strutture abbiano saputo creare un discorso pubblico funzionale ai loro interessi riorganizzando le forme di trasmissione del sapere, dalla scuola all’università, e gettando le premesse per la perpetuazione del loro ruolo.

È un volume profondo, colto, ben costruito, che ha il merito di collocare tutta una serie di discorsi di settore, normalmente isolati fra loro, in un quadro d’insieme estremamente coerente. E il quadro che compone è quello di una nuova società aziendale costruita sulla logica del profitto a breve termine, in cui domina il darwinismo sociale tra individui e fra gruppi (quelli che restano), ed in cui la vecchia logica del confronto politico fra interessi è definitivamente neutralizzata.

Il volume si chiude (p. 230) con il richiamo ad una “inversione dell’ordine delle priorità” non dall’economico al politico, ma dall’economico al semplicemente “umano”, come “paradigma per ricostruire gli Stati nazionali e per fondare una federazione europea in continuità con i principi libelademocratici e con il costituzionalismo del Novecento”. Questo è l’auspicio dell’autore per evitare un libro “sfiduciato”. Il punto è che è la stessa analisi che viene condotta nelle pagine precedenti a mettere in luce che, se questa inversione ci sarà, sarà un cammino lungo e difficile, destinato a snodarsi in tappe che, al momento, non è nemmeno possibile intravedere.

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“Lo Stato del potere. Politica e diritto al tempo della post-libertà” viene presentato lunedì 17 febbraio alle ore 18.00 nella Libreria Feltrinelli di piazza dei Martiri, Napoli. Intervengono Francesco Barbagallo, Salvatore D’Acunto, Valeria Pinto, Massimo Villone. Modera Ottavio Ragone

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