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Certa Stampa – HA GIRATO IL MONDO MA SEMPRE CON L’ABRUZZO NEL CUORE, L’AMBASCIATORE ITALIANO IN KENYA


Roberto Natali, 66anni, laureato in filosofia e Scienze Politiche, teramano, figlio di un conosciuto generale dell’esercito e fratello di Rossella, giornalista teramana, è l’ambasciatore d’Italia. È, per dirla con una battuta alla Ian Fleming, “il nostro uomo a Nairobi”. L’abbiamo intervistato.
Cominciamo dagli inizi, come si diventa ambasciatore pretendo da Teramo?
“Partire da Teramo…anzitutto è stato necessario per gli studi. Nei primi anni ottanta la locale facoltà di Scienze Politiche non prevedeva l’indirizzo politico–internazionale. Poi il Master in alti studi internazionali a Roma, due borse di studio, presso l’Accademia di Diritto Internazionale de LAja e all’Università di Aix-en-Provence per il perfezionamento in stilistica francese. Non avevo mai avuto alcun tipo di legame, conoscenza ocontatto con il mondo diplomatico, ma conoscevo alcune lingue straniere, studiate per passione e praticate lavorando in estate presso strutture turistiche sulla costa abruzzese. E poi, molta determinazione e grande sacrificio per preparare il concorso per l’accesso alla carriera diplomatica, davvero una prova difficile”.
Essere italiani oggi è un valore aggiunto, o ancora la declinazione di una serie di stereotipi antichi?
“Essere italiani, sia ieri che oggi, vuol dire essere orgogliosi di ciò che rappresentiamo nel mondo. La creatività sconfinata, la bellezza del nostro Paese, la flessibilità necessaria per risolvere rapidamente questioni complesse, la produzione artistica, la nostra coraggiosa imprenditoria, il rispetto per la persona in quanto tale, la ricchissima e differenziata gastronomia, il saper godere della vita, la ricerca del senso profondo delle cose, ci appartengono e per questo siamo ammirati nel mondo. L’Italia svolge un ruolo importante nell’ambito della Comunità internazionale e chi lavora all’estero se ne rende conto maggiormente. L’Italia è membro fondatore dell’Unione Europea, importante economia del G7, inserita in numerose Organizzazioni internazionali politiche ed economiche con ruoli di primo piano, al primo posto per i siti culturali classificati dall’UNESCO. Certo, come tutti, siamo anche vittime di alcuni stereotipi non sempre simpatici. Per esempio l’associazione che talvolta viene fatta con la “mafia”. Ma le cose evolvono. Oggi la nostra diplomazia promuove l’Italia come eccellenza proprio nella lotta alla criminalità organizzata (fenomenotransnazionale), grazie all’esperienza e ai successi ottenuti – e riconosciuti – in tale delicato settore attraverso legislazioni speciali (es. collaboratori di giustiziaisolamento carcerario per i non collaboratori, tracciamento dei flussi economici). Su tale tematica, in particolare sotto il profilo della prevenzione e del contrasto, formiamo le forze di polizia di numerosi Paesi”.  
Lei è stato in Ecuador, ad Helsinki, a Washington, a Barcellona, in Marocco, in Mauritania, poi inviato Speciale per i Paesi dei Caraibi e ora in Kenia, di quale luogo conserva l’emozione più grande?
“Vivere in questi Paesi e conoscerne gli aspetti più caratterizzanti diciamo…quelli che al turista di passaggio sfuggono –  è stato fonte di infinite emozioni. Certo, sono i luoghi più esotici che toccano più in profondità le corde emotive dell’anima e del pensiero e stimolano maggiormente riflessioni sulla vita, sulla sua precarietà, sulla totale inutilità dei conflitti, ma anche sulla forza dell’esistenza e sulla comprensione che “l’altro” va inteso come “altera pars”, l’altra parte di noi. Al di là del lavoro diplomatico, il vero privilegio è stato quello di conoscere ed essere accolto in famiglie semplici, essere testimone diretto degli usi e delle tradizioni locali, superando i pregiudizi che provengono dalla mancata conoscenza. La scoperta della storia degli Incas, dell’Islam e della lingua araba, dei paesaggi innevati e incantati della Lapponia, la dolcezza di una leonessa con i suoi cuccioli, tutto questo è stato fonte di grande emozione. Tuttavia, non sono mancate emozioni negative; ero da pochi giorni negli Stati Uniti l’11 settembre del 2001... “
Emozioni a parte, so – avendo vissuto in 5 città diverse nei miei primi 25 anni, quanto il cambiare orizzonte ecasa” sia anche, dal punto di vista umano e familiare, un’esperienza faticosa; lei come affronta questo costante sentirsi “nuovo in città”?
“No… al di la’ dei pochi giorni fisicamente impegnati per i traslochi, non è stato faticoso per me cambiare Paese e citta’. Anzi, l’ho sempre trovato stimolante. La scoperta di nuovi luoghi, popoli, culture, religioni, e’ stata sempre una bellissima e gratificante esperienza.  Mi sono sempre sentito a casa ovunque e mi e’ dispiaciuto, ogni volta, al termine della mia missione, lasciare amici, luoghi divenuti cari, profumi, tradizioni e colori diversi dai nostri. Per la famiglia di un diplomatico, certo, la vita è obiettivamente un po’ complicata. Ma anche ricca di opportunità e, soprattutto per i figli, una grande crescita. Vari amici di Teramo sono venuti a trovarmi in giro per il mondo. E poi, negli ultimi anni, la tecnologia ha molto aiutato in questo senso. I contatti, sia pur virtuali, sono oggi molto facilitati. Tuttavia…il mondo senza internet aveva il suo fascino. Conservo ancora le lettere degli scambi epistolari con gli amici e colleghi di concorso, partiti dopo un primo periodo al Ministero per tutti gli angoli del mondo, che mi raccontavano delle tensioni nell’allora Germania Est prima della caduta del muro di Berlino, dei paesaggi delle Isole Andamane, delle aree rurali del Giappone, non ancora davvero aperte alla cultura occidentale…”.  
L’Italia,omeglio:l’Abruzzo…èunanostalgiasoloun ricordo?
“Il mio lavoro è quello di rappresentare la Repubblica Italiana nel suo complesso, in primis il suo Presidente, il suo popolo, la sua cultura, le sue imprese, i suoi valori e le sue tradizioni. È un compito di cui sono sempre stato orgoglioso. Ma come dimenticare l’Abruzzo? È una terra che porto nel cuore, con i ricordi, le amicizie, la forza della sua gente e i paesaggi che, sicuramente, costituiscono un’eccellenza del nostro Paese. Credo che la nostra Regione abbia un fortissimo potenziale in termini di promozione internazionale delle sue straordinarie realtà”.
Contemplando la sua carriera, notavo come lei sia stato in luoghidal fortissimo appeal turistico, dei quali noi italiani abbiamo, troppo spesso, un’immagine patinata, mentre dietro le cartoline c’è una realtà diversa. Come il Kenya… non è solo Malindi e le spiagge incantate…
“Indubbiamente. Il Kenya è una realtà complessafatta di contrasti, di tante culture e, soprattutto, di tantissimi giovani. Il 50% della sua popolazione ha meno di 18 anni! Da un lato, questo elemento demografico conferisce una forza speciale al Paese; ma, dall’altro, una tale massa di giovani impone scelte adeguate per uno sviluppo rapido, solido e sostenibile se si vorrà evitare nel futuro prossimo crescente povertà, emigrazione, tensione politica. L’aiuto allo sviluppo proveniente dall’estero è ingente, ma è necessario trasformarlo in capacità di produzione autonoma e di incrementare il valore aggiunto dei prodotti, per garantire il maggior numero possibile di impieghi e aumentare il reddito. In altre parole, bisogna aiutare il Paese ad applicare la formula di trasformazione daaidintradeL’Italia è presente da tempo con la sua imprenditoria in vari settori e con un’intensa attività di cooperazione allo sviluppo, parte integrante della nostra politica estera. Il Kenya è per l’Italia un importante Paese di riferimento sia nella regione est africana che nell’intero continente eil rapporto privilegiato tra Roma e Nairobi ha ricevuto un determinante impulso – subito dopo il mio arrivo – grazie alla storica visita del nostro Capo dello Stato nella primavera del 2023 e poi del lancio del c.d. “Piano Mattei per l’Africa”, a inizio 2024.keniani sono un popolo gentile e attivo.  Quando lascerò il mio incarico per fare ritorno in Italia, porterò con me il loro sorriso.”
Tra le sue numerose esperienze, lei si è occupato in Italia dei rapporti con la stampa e anche a Washington, è stato Primo Consigliere per la Stampa e l’Informazione dell’Ambasciata; visti dalsuo osservatorio privilegiato, che gente siamo noi giornalisti?
“Risposta non “diplomatica”: mi sono sempre trovato benissimo con gli amici giornalisti, categoria essenziale per aiutare a comprendere la realtà che ci circonda.Con tanti di loro, in particolare redattori di estero, hocondiviso missioni, viaggi ed esperienze. E da loro ho molto imparato, soprattutto da inviati in Paesi difficiliche richiedevano analisi complesse e lo studio attento delle dinamiche locali e di quelle che lo storico francese Pierre Renouvin chiamava “le forze profonde”, quelle che muovono la storia dei popoli. In termini generali, se posso permettermi un piccolo suggerimento, inviterei i media a riportare maggiormente notizie positive; ce ne sono tante nel mondo e ne abbiamo tutti bisogno”.
Sepotessescegliere,adesso,lasua prossima destinazione,qualesarebbee perché?
“Ho viaggiato davvero tanto – e mi sento privilegiato per questo – poiché ho visitato, per varie ragioni, oltre 110 Paesi in tutti i continenti. Tuttavia, vorrei recarmi in tante altre regioni del mondo che non ho potuto conoscere, per immergermi ancora in culture diverse, nutrirmi ancora di paesaggi misteriosi, vivere ancora affascinanti nuove realtà.  Ma se proprio dovessi scegliere, tra lemille, una nuova destinazione, vorrei fantasticamente spostarmi in una dimensione spazio-temporale e trascorrere un periodo di studio nella Cordoba dell’anno 1000, eccezionale centro culturale, luogo di pacifico incontro tra Cristianesimo e Islam, dove la ricerca del sapere ha stimolato infinite scienze, tra cui la matematica, l’astronomia, la filosofia, la letteratura. Beh…un diplomatico non sarà mai stanco di conoscere il mondo la storia dei popoli che lo hanno abitato e che lo abitano”.

intervista di Antonio D’Amore



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