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«All’inizio avevo paura dell’acqua, ma ora mi fa stare bene»


«All’inizio non sapevo nuotare e avevo paura dell’acqua, ma ho imparato perché sono determinata e non riesco a fare sport senza avere un obiettivo. Adesso entrare in acqua mi fa stare bene». Originaria di Lanciano, Ilenia Colanero è un’atleta paralimpica di 43 anni che è riuscita ad incanalare la sofferenza fisica – derivante da un terribile incidente stradale avuto nel 2015 – in uno sport come l’apnea (con e senza pinne), grazie al quale ha partecipato non solo ai campionati italiani, ma anche mondiali. E ora, dopo essersi avvicinata anche al paraciclismo, sogna di partecipare alle paralimpiadi.

Come hai scoperto il mondo dell’apnea con le pinne?

«In realtà non conoscevo questo sport e nel 2015 ho avuto un incidente stradale per cui ho rischiato l’amputazione della gamba destra. I medici me l’hanno salvata, ma ora ho la caviglia completamente bloccata e varie osteosintesi, per cui sono dieci anni che vivo di dolore. Comunque ho sempre fatto sport da quando avevo 12 anni: atletica leggera a livello agonistico e tennis. Dopo l’incidente, mi sono resa conto di non poter più correre e per questo ho avuto anche un periodo di depressione perché non vivo senza sport. Allora, il mio ortopedico, che è anche un pescatore subacqueo, mi ha consigliato di fare apnea proprio per farmi riprendere. Poi, ho cercato su internet una squadra nei dintorni e ho trovato l’Apnea Team Abruzzo a Vasto. Li ho contattati e ho iniziato a fare apnea come terapia perché non sapevo nuotare e avevo paura dell’acqua. Quindi il primo approccio non è stato dei migliori perché avevo paura, ma poi con il mio allenatore abbiamo trovato la chiave: l’agonismo e la determinazione».

Quando hai iniziato a fare le prime gare?

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«Dopo sette mesi perché ho voluto io, non riesco a fare sport senza un obiettivo. Il mio allenatore era un po’ restio. Ho iniziato a gareggiare con i normodotati perché l’apnea paralimpica non ancora esisteva, ma è stata creata nel 2019: è stato bello perché eravamo tutti uguali, era un mondo senza differenze e a me non piacciono le divisioni. Infatti quest’anno, per la prima volta, avremo il nostro campionato italiano negli stessi giorni e nella stessa piscina di quello per i normodotati (a Torino, l’11 e 12 aprile, ndr)».

Quando hai partecipato al tuo primo mondiale di parasport?

«La prima gara importante è stato il primo campionato mondiale di apnea paralimpica, che si è svolto due anni fa a Lignano Sabbiadoro. Nell’immagine di presentazione della gara c’eravamo io e un mio collega: quando penso che quella foto è passata alla storia e che avevamo gli occhi di tutto il mondo puntati addosso, sento ancora un’emozione molto forte. Invece, nel mondiale dell’anno scorso ho dato il massimo di me stessa ed ero in splendida forma, ho fatto misure da normodotati: io gareggio con una pinna sola e per fare quel tipo di prestazioni ci vuole tanta forza fisica e mentale».

Come ti prepari fisicamente per una gara?

«Vado in palestra tutti i giorni e cerco di sfruttare tutte le mie ore libere. Ti descrivo una giornata-tipo: parto da Lanciano alle 5.40 del mattino per allenarmi in piscina a Chieti, poi lavoro e nel pomeriggio vado in palestra. Da poco ho iniziato a fare anche paraciclismo: pedalo con una sola gamba e forse riuscirò ad entrare nella nazionale, ma ci sto lavorando perché il ciclismo mi rende libera. Di recente, a Francavilla sono stata convocata a un raduno della nazionale di paraciclismo per osservarmi perché vorrebbero puntare su di me per le gare di maggio».

E psicologicamente?

«Quando faccio apnea, entro in uno stato di ipossia e mi fa stare bene: sott’acqua sono in un mondo ovattato, dove siamo solo io e i miei pensieri, ma se non mi concentro rischio di mandare a monte la gara. Per questo, la musica mi aiuta tanto: quando inizio a deconcentrarmi, penso alle mie canzoni preferite di Elisa e le “canto” nella mia testa. Infatti, prima di ogni gara per me è fondamentale isolarmi dal mondo esterno con le mie cuffiette e la musica. Anche se è sempre una lotta contro me stessa, perché non so mai quanto potrebbe fare il mio avversario, devo comunque valutare questo fattore. A livello psicologico, è molto impegnativo perché non ho davanti agli occhi l’altro atleta».

Però tu non fai apnea soltanto con le pinne.

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«No, anche senza. Quando uso la pinna, vado sott’acqua e mi spingo con la sua forza, per cui chi fa più vasche vince. È come lo stile a rana: nuoto solo con le braccia ed è molto più faticoso, anche se ho molta più forza nella parte superiore del corpo. Una volta ho fatto 75 metri con la pinna da 125 e ho realizzato un record maggiore rispetto a quando nuoto con la pinna: ho fatto 2.10 minuti di apnea senza pinna, mentre ne ho fatti 2.06 con. Comunque l’apnea è sofferenza: vado sott’acqua, pinneggio, poi quando mi manca l’ossigeno le gambe vanno subito in sofferenza e i muscoli si induriscono.

Com’è il rapporto con i tuoi avversari?

«Fuori dall’acqua siamo molto amici, ma dentro ognuno pensa per sé. Poi, alle gare incontro sempre anche dei ragazzi con altri tipi di disabilità, anche cognitive, che mi cercano sempre e non vedono l’ora di prendere la medaglia. Anche se loro non avranno sbocchi a livello agonistico perché non sono nelle paralimpiadi, la nazionale italiana gli ha dato la possibilità di partecipare comunque a delle gare. E questo mi ricarica il cuore perché l’acqua permette loro di fare tutto: ho visto persino i tetraplegici fare sport perché in acqua non c’è forza di gravità. Da dieci anni, convivo con dolori costanti che non mi fanno dormire la notte, ma quando sono in acqua non li sento. Per questo, ci tengo a promuovere questo tipo di sport: non è solo una questione di vincere medaglie, ma proprio di benessere».

C’è una persona in particolare che ti ha ispirato o che continua a farlo?

«La campionessa mondiale di apnea Alessia Zecchini, che è normodotata. Nonostante la sua importanza a livello mediatico, quando le scrissi dieci anni fa su Facebook mi rispose e ora è una delle mie più care amiche. Lei è una persona umile, che mi ha dato tanti consigli e che considero un esempio da seguire perché mi stimola continuamente. Al contrario di me, lei sin da bambina sapeva che da grande avrebbe voluto fare l’apneista e su questo ci aveva scritto anche un tema alle elementari. Ci sentiamo spesso, soprattutto in vista delle nostre rispettive gare e con lei c’è sempre uno scambio reciproco: l’8 giugno andremo a fare insieme la “12 ore di nuoto”, una raccolta fondi organizzata dall’Aism di Roma».

Ad agosto parteciperai ai World Games in Cina. Sai già cosa ti aspetta?

«Non sappiamo ancora nulla di preciso, ma dureranno due settimane con tanti sport non ufficiali nelle paralimpiadi, e noi dell’apnea gareggeremo per 3-4 giorni. È una vetrina per farci notare dal comitato olimpico e paralimpico e far inserire nuove discipline in futuro. Non ti nascondo che mi piacerebbe andarci».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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