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Una vita per la scienza: in ricordo di Renato Dulbecco


“Il mio pensiero migrò fuori dell’armeria, via da Stoccolma, verso le colline selvagge della Calabria”. Così scriveva Renato Dulbecco nel racconto autobiografico del 10 dicembre 1975, giorno in cui fu insignito del premio Nobel per la medicina per le sue scoperte sulle interazioni tra i virus tumorali e il materiale genetico della cellula. Trascorse gran parte della sua vita negli Stati Uniti, lavorando per le più prestigiose università americane e rivoluzionando per sempre, con le sue scoperte, la ricerca sul cancro. Ma alla Calabria, sua terra natia, rimase sempre profondamente legato. Ci lasciò 19 febbraio del 2012, tredici anni fa.

I primi anni

Renato Dulbecco nasce a Catanzaro il 22 febbraio del 1914 da madre calabrese, Maria Virda, originaria di Tropea, e padre ligure, Leonardo, di Porto Maurizio. Sin dalla giovane età mostra acutezza, curiosità e interesse per la scienza. Saranno alcune esperienze dolorose risalenti a quegli anni, come la morte di un caro amico d’infanzia, a influire fortemente sulla scelta di intraprendere, in futuro, lo studio della medicina. “Mi accorgevo della debolezza della medicina, della sua difficoltà nel combattere malattie serie come la polmonite e della sua impotenza di fronte a patologie ancor più gra­vi, come i tumori. Quelle esperienze certo ebbero un ruolo importante nella mia carriera”, dichiarerà al riguardo.

Il periodo universitario

A soli sedici anni Dulbecco intraprende gli studi universitari in medicina e chirurgia presso l’Università di Torino, seguendo i corsi del noto anatomista Giuseppe Levi, insieme a Rita Levi Montalcini e Salvador Luria. Poco dopo la laurea, nel 1936, inizia a lavorare come ufficiale medico a Sanremo, durante il servizio militare; allo scoppio della seconda guerra mondiale è costretto a partire per il fronte francese e, successivamente, per la campagna di Russia. Conclusa la guerra abbracciando la lotta partigiana, torna a Torino per iscriversi alla facoltà di fisica e studiare l’effetto delle radiazioni sulla struttura e sul meccanismo d’azione dei geni. È qui che nel 1946 Salvador Luria gli propone di lavorare per un anno nel suo laboratorio di Bloomington, in Indiana. Un momento che segna l’inizio di una brillante carriera negli Stati Uniti e di una serie di scoperte, in ambito scientifico, di rilevanza internazionale.

Il successo negli Stati Uniti

In America Dulbecco trascorre gran parte della propria vita, lavorando per i centri di ricerca più prestigiosi: prima all’Indiana University (1947-49), poi al California Institute of Technology (1949-62) e infine al Salk Institute for biological research di San Diego (1962-72). Sono anni che rappresentano una svolta per la sua carriera e per la scienza biologica: nel 1975, grazie ai suoi studi sui virus oncogeni, vince il Nobel per la medicina. Negli anni a seguire dà vita a una delle sue creature più amate e ambiziose, il Progetto genoma umano, con l’obiettivo di approfondire lo studio della genetica per poter conoscere e combattere lo sviluppo del cancro. Un progetto che ancora oggi rappresenta una pietra miliare, un punto di partenza fondamentale per comprendere i meccanismi alla base dei fenomeni della vita.

Un uomo di scienza e di pensiero

Dulbecco muore colpito da un infarto il 19 febbraio 2012, nella sua casa di La Jolla, in California. Lascia un grande vuoto nella comunità scientifica, ma anche un’importante eredità, e un esempio per tutti: quello di un uomo di scienza e di pensiero, che perseguiva i suoi obiettivi con passione e dedizione, e amava le sfide. Storica la partecipazione al Festival di Sanremo del 1999 nelle vesti di conduttore, insieme a Fabio Fazio e Laetizia Casta, in cui spiccò per garbo, modestia e simpatia. Un’esperienza motivata sì dalla voglia di mettersi in gioco, ma soprattutto di comunicare la sua passione per la scienza ai giovani e far conoscere Telethon a una platea più ampia possibile. Il suo cachet fu interamente devoluto a favore del rientro in Italia degli scienziati andati all’estero per motivi di studio e lavoro.

Tra le eredità che ci ha lasciato, l’aver cercato di ricreare, in Italia, una comunità scientifica formata dalle nuove generazioni, e l’impegno per mobilitare la scienza nella tutela dei diritti umani. In occasione della prima Conferenza a Milano di Science for Peace, nel 2009, scrisse: “Sono uno scienziato che ha vissuto la guerra e sono stato testimone della sua insensata e sanguinosa sofferenza. Ciò che è cruciale nelle relazioni umane è il dialogo. Se tutto il denaro e l’energia oggi impiegate nei conflitti armati fossero re-incanalate nel salvare l’umanità, potremmo vivere in un mondo davvero diverso. Gli scienziati da soli non possono portare la pace nel mondo, ma impegnandosi in prima persona e orientando altri verso questo obiettivo, possiamo sperare di avere successo”.

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