L’allenatore del Bologna nel 2025 è imbattuto come solo Napoli, Psg e Barcellona. «Aggressivi con i forti. Non c’è niente di più bello di abbinare l’organizzazione al fenomeno. La mia squadra deve emozionare»
Vincenzo Italiano, dopo il suo Bologna sono andate fuori dalla Champions anche Milan, Atalanta e Juve: si aspettava un tracollo così?
«Ero convinto che Milan, Atalanta e Juve passassero, ma poi vai in certi stadi e ti trovi in una bolgia. Dispiace, anche per il ranking. La Champions è la competizione dei dettagli, se sbagli paghi».
Rispetto all’Europa il livello della serie A si è abbassato?
«In Europa giocano a viso aperto, non speculano. È un tipo di pensiero calcistico da inseguire, per avvicinare la gente allo stadio. Culturalmente noi siamo più preoccupati del risultato. Ma il risultato può essere casuale, la prestazione ben fatta non lo è mai».
Se la Champions fosse partita più tardi il Bologna sarebbe andato ai playoff?
«Possibile. Abbiamo avuto un po’ di sfortuna nel sorteggio. All’inizio non siamo riusciti a fare punti, ma nelle ultime gare con Benfica, Borussia e Sporting abbiamo dimostrato che ci potevamo stare e abbiamo chiuso facendo bella figura. Nei prossimi anni il Bologna in Europa avrà meno timore e più sfrontatezza».
Il suo Bologna un record ce l’ha in questo 2025: con Napoli, Barcellona e Psg, è tra le uniche quattro squadre imbattute in Europa.
«Testimonia la crescita della squadra: c’è equilibrio nella proposta di calcio, con e senza palla. Se vai in campo cercando di fare la partita e con la voglia di non perdere si arriva a un dato così».
Nella lotta scudetto chi vede davanti?
«Napoli e Inter, 50 e 50. Se la giocano fino all’ultimo. Conte sta facendo un grande lavoro, però l’Inter è più attrezzata come rosa, l’Atalanta la vedo un filo sotto».
Lotta per l’Europa. Cinque squadre racchiuse in cinque punti: vince la corsa chi?
«Chi ha più continuità di risultati, un’identità forte e riesce a crescere ancora. Noi vogliamo arrivare al traguardo».
A Juve, Milan e Fiorentina il mercato di gennaio ha dato più che al Bologna. Le pesa?
«Non mi piace stravolgere a gennaio, abbiamo sostituto Posch con Calabria, poi i rientri di Orsolini e Cambiaghi ci danno completezza: questo ci ha spinto a non fare tanto».
È convinto che la lotta Champions andrà avanti fino alla fine con Juve, Lazio, Fiorentina, Milan e Bologna?
«Lazio e Juve per il quarto posto hanno qualcosina in più, dietro le altre a rincorrere e la Roma rientra: all’Olimpico sarà dura per tutti».
In questa corsa quanto pesano gli scontri diretti?
«Impossibile pensare di vincerli tutti. Se arriva un passo falso bisogna reagire e far punti con chi ti sta dietro. Noi abbiamo 6-7 scontri diretti».
Uno scontro diretto in Coppa Italia l’ha vinto battendo l’Atalanta in trasferta.
«La coppa è un obiettivo della società, siamo in semifinale dopo 26 anni. In questa competizione ho fatto tre semifinali e una finale e, l’anno prima, con lo Spezia arrivai ai quarti. Per me la coppa va onorata, se arrivi in finale è un’emozione unica, un regalo alla città. Poi andremmo pure in Supercoppa in Arabia Saudita: magari».
È un campionato dilaniato dalle polemiche arbitrali. Var sì o no? Si usa troppo?
«Var sì, ma dobbiamo uniformare i giudizi. Falli di mano e rigori lasciano tutti scontenti. Il problema è che se cerchi l’uniformità poi rischi di fischiare tutto».
Il Bologna è una squadra credibile fino alla fine?
«Sì e gli avversari lo percepiscono. Chi ci affronta sa che ha davanti una partita tosta».
I rossoblù sono rientrati nel circolo delle grandi?
«Conosco le ambizioni del presidente Saputo: il Bologna lotterà sempre per l’Europa negli anni a venire. Se arriva l’ex capitano del Milan Calabria significa che la percezione del club è cambiata».
Il Bologna del dopo-Motta era la panchina più rischiosa, perché l’ha accettata?
«Confermarsi è sempre difficile. Ho capito che qui si poteva fare qualcosa di importante: c’è ambizione. E poi la Champions mi ha stimolato, dopo la Conference League volevo mettermi alla prova».
L’allenatore bravo è chi fa risultato ma soprattutto migliora i giocatori: d’accordo?
«Assolutamente. Odgaard è esploso quando l’ho spostato dietro la punta, è stata una vittoria sua e mia. Giochi per i risultati, ma un tecnico ha il dovere di mettere i calciatori nelle condizioni ideali per farli esprimere».
Il suo calcio sfrutta le fasce e il pressing molto alto.
«Dopo la vittoria in Coppa Italia a Bergamo due giornalisti stranieri sono venuti a dirmi che in futuro tanti utilizzeranno i principi del Bologna. Il mio non è un calcio copiato, ho il brevetto come la Coca-Cola (ride ndr). Il calcio è possesso e non possesso, questo modo di riconquistare la palla così aggressivo che abbiamo, ti aiuta contro chi ha grandi individualità. Aggressivi con i forti, diciamo così».
Giochista o risultatista?
«Il giochista ama arrivare al gol attraverso il collettivo, il risultatista è chi dice diamo la palla al fenomeno e segniamo. Non c’è niente di più bello di abbinare l’organizzazione al fenomeno, se ci riesci diventi invincibile. Guardiola a Barcellona, Sacchi al Milan: quella è la perfezione, unire un visionario e i fenomeni».
I tre anni di Firenze?
«Spettacolari, l’unico neo è non aver vinto la Conference. A Roma l’hanno festeggiata un mese».
Quando arrivò a Bologna disse: «Vorrei riportare la gente in piazza». Ce la farà?
«Andare in piazza non è solo vincere, ma emozionare, sentire fuori dallo stadio i clacson della gente che festeggia la vittoria sul Borussia pure se sei fuori dalla Champions. Quella è emozione, è piazza. E il mio Bologna deve emozionare. Sempre».
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