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Al Festival della comunicazione non ostile di Trieste, il 70% dei ragazzi ritiene di riconoscere una fake news


Si è svolto a Trieste il “Festival della comunicazione non ostile”, promosso da Parole O_stili e intitolato “Le parole danno forma al futuro” e che vede quest’anno quale protagonista la generazione Z, ovvero uomini e donne nati tra la seconda metà degli anni Novanta e il 2015.

A prenderne parte oltre 400 fra studenti, dirigenti scolastici e insegnanti, ceo, manager, responsabili delle risorse umane e della comunicazione di grandi aziende, personalità delle istituzioni, del giornalismo, della comunicazione, della scienza e dell’associazionismo.

Il termine scelto come “parola del futuro” è stato Netily, una parola che mette insieme i concetti di rete, net appunto, e family.

Nel corso della giornata sono stati anche presentati i risultati della ricerca realizzata da Ipsos, Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e Parole O_Stili con il contributo di Fondazione Cariplo, sul rapporto tra giovani e fake news.

Dall’indagine emerge che le nuove generazioni sono sempre più esposte alle notizie false che circolano in rete, in particolare sui canali social.

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Quasi un giovane su tre (il 31%), infatti, mette il like su una notizia non verificata e il 7% le condivide, mentre ben il 51% ammette di utilizzare i social come canali di informazione per leggere notizie di vario interesse, si dimostra così, in qualche modo,  che la rete viene ancora percepita come un mondo a parte, meno rilevante o impattante, mentre manca la consapevolezza da parte degli adulti a capire la cultura digitale che è propria dei ragazzi.

Infatti,solo un genitore su tre affronta il tema di internet in famiglia, lasciando molti ragazzi senza punti di riferimento in un contesto che invece richiederebbe guida e responsabilità

Su Tiktok, per esempio, sono presenti più di 21 milioni di italiani e dunque uno spaccato attendibile della  società moderna, frequentato dal 67% di persone.

Delle 10 fake news proposte, il 73% degli studenti non ne condivide nessuna, mentre il 5% è responsabile di quattro o più condivisioni. Per i like, la distribuzione è più uniforme: il 35% non ha mai messo like, mentre il 34% ne ha messi quattro o più.

Sull’approccio alle fake news si capisce che le ragazze condividono il 61% in più di notizie non verificate, mentre ciò che li influenza di più la diffusione di fake news è il tempo trascorso sui social media: infatti, chi usa i social 3-4 ore al giorno condivide 5,5 volte più fake news e mette 12 volte più like rispetto a chi invece li usa meno di un’ora.

In ogni caso le fake news influenzano opinioni e comportamenti delle persone, anche se  7 ragazzi su 10 ritengono di essere in grado di riconoscere una notizia falsa sui social e 3 intervistati su 4 cercano di fare fact checking su fonti affidabili.

Per l’80% dei ragazzi e delle ragazze l’educazione scolastica dovrebbe fornire strumenti utili a riconoscere le fake news. 

A fronte di un 96% di intervistati che conferma di avere almeno un account social, il 94% ha un account WhatsApp; il 74% uno su Instagram e il 68% su TikTok. Meno di un giovane su due ha invece accesso agli altri canali social, considerato che solo il 31% dichiara di avere un account su Telegram, il 28% Snapchat, 26% Twitch. Chiudono la classifica Threads e X, piattaforme sulle quali meno di un giovane su due dichiara di avere un account.

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A influire sulla scelta dei social è anche il genere: le ragazze sono infatti più presenti su TikTok e Snapchat, mentre i ragazzi su Telegram, X e Twitch. 

Analizzando poi il campione per fascia d’età/classe frequentata si evidenzia che 9 studenti di scuola media su 10 hanno un account social, mentre quasi 1 under 14 su 2 (il 46%) è presente su TikTok e Instagram, percentuali che raddoppiano con il passare dell’età. Il canale social sul quale i ragazzi passano più tempo è Tik Tok con una media di 2,4 ore al giorno, seguito da Instagram, WhatsApp (1,8 ore) e Threads (1,6 ore).

L’approccio alla tecnologia e ai suoi recenti e sempre più rapidi sviluppi è in generale positivo: oltre 9 ragazzi su 10 (il 93%) la considera una grande opportunità per l’essere umano, con un 77% che sottolinea, però, la necessità di comprenderne anche i rischi, mentre poco meno di uno su 10 (l’8%) la vede come una minaccia per la società e per le persone.

Nell’ambito della ricerca si è poi scelto di chiedere agli studenti un’autovalutazione delle loro competenze informatiche di base: poco meno di 7 ragazzi su 10 si sentono competenti nel trovare informazioni su beni e servizi o da siti web di enti e servizi pubblici, con un 30% che ammette di essere poco o per nulla competente.

1 ragazzo su 2 dichiara di essere poco o per nulla capace di caricare contenuti online, mentre 1 su 3 (31%) non sa partecipare ai social (31%) o utilizzare l’e-mail (29%). I ragazzi si sentono, invece, particolarmente competenti nell’installazione di app e programmi (78%) nella creazione di documenti con immagini e grafici (72%) e negli acquisti online (68%).

A fronte di un 94% di ragazzi che si considera consapevole e competente rispetto all’utilizzo di questi strumenti, la percentuale scende a 92% per le ragazze che, nel 12% dei casi, ammettono anche di avere difficoltà.

Anche rispetto all’età si registrano differenze generazionali sull’alfabetizzazione digitale, con i Genzers che sembrano essere decisamente più competenti rispetto alla generazione successiva ovvero quella Alpha.

Lo studio ha pure rilevato che 1 genitore su 2 è pronto a supportarli quando qualcosa online li infastidisce, 1 ragazzo/a su 3 è lasciato completamente solo in questa situazione, mentre 1 genitore su 3 non affronta mai il tema di cosa fanno i suoi figli su internet e 1 su 4 non li incoraggia a imparare ed esplorare il web.

I sistemi di geolocalizzazione sembrano essere i più utilizzati, dal 40% dei genitori; 1 genitore su 3 utilizza il parental control per bloccare o tenere traccia dei contenuti visualizzati online o delle app utilizzate dai figli.

In generale, in fine, i centro e isole sembrano essere più indietro rispetto alle competenze e più controllanti dal punto di vista della mediazione parentale





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