Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#adessonews
#finsubito
#finsubito video
Agevolazioni
Asta
Bandi
Costi
Eventi
Informazione
manifestazione
Sport
Vendita immobile

Conto e carta difficile da pignorare

anche per aziende e pos

Ottobre 1945, gli Azionisti lanciano un piano radicale di rinnovamento


Una pubblicazione della nuova collana Storia della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli ha tutte le caratteristiche per aprire un dibattito molto significativo sul mondo attuale della politica, sul modo di fare politica, sul significato stesso del termine “politica”. L’occasione per affrontare un tema che mai come in questo periodo denota la necessità di tornare a riflettere, è il volume presentato ieri nella sede della Fondazione rosselliana in via degli Alfani a Firenze. Il titolo “Partito d’Azione in Toscana” e il sottotitolo Il congresso regionale dell’ottobre 1945, non rendono giustizia all’enorme carica di asperitudine e scomodità che questo saggio comporta per chiunque ritenga che la politica sia, tutto sommato, l’arte dell’accomodamento in nome della responsabilità e dell’interesse collettivo. Perché ciò che emerge dagli interventi, spesso intransigenti, spesso al limite della visione, spesso .ordinanti la realtà secondo regole perdenti ma fortemente ideali, è un profilo politico, alto, di cui si è persa la strada, subito dopo, si può dire, che questa strada fu indicata.

Tornando al saggio, curato impeccabilmente dal ricercatore Luca Menconi , che specifica che si tratta della seconda tappa di un percorso che si è avviato con una pubblicazione sulle tre brigate Rosselli che ebbero una parte importantissima nella Resistenza, con un ruolo militare secondo solo alle Brigate Garibaldi del Pci, almeno in Toscana e in Piemonte-Lombardia, la raccolta degli atti del Congresso azionista del ’45 mettono in luce alcuni dati generali, puntualmente rilevati dai relatori, il professor Giovanni Belardelli, il professor Sandro Rogari, il presidente dell’Istituto della Resistenza toscano Matteo Mazzoni, e lo stesso Menconi: la fragilità dell’organizzazione azionista, la straordinaria qualità intellettuale dei suoi componenti, la diversità inconciliabile nello sguardo sulle questioni più immediate che doveva affrontare il Paese (prioritaria ed emblematica la riforma agraria), la quasi nulla radicazione sul territorio toscano, a parte Firenze. Quattro dati (fra altri meno evidenti) che comportano la conclusione inevitabile dello scioglimento dell’esperienza. Esperienza che però, come tutti i relatori riconoscono, si ammanta ben presto dell’aura del mito e torna ciclicamente nella storia italiana, quasi a richiamare il Paese alle sue radici ideali. Del resto, non possiamo dimenticare che il Pd’A per svariati aspetti , è anche “il partito della Costituzione”.

Ma se il tema del dibattito diventa sostanzialmente perché il Pd’A, pur avendo i suoi rappresentanti al vertice delle istituzioni rinnovate (uno per tutti, il governo Parri, che nel ’45 era vigente e di cui, nel Congresso oggetto dello studio, quasi non compare traccia in quanto non viene quasi menzionato dai relatori), non riuscì a costituirsi come protagonista politico nel dopoguerra alla pari della Dc e del Pci, o degli stessi socialisti che, dati quasi per spacciati, si rivelarono alle prime elezioni libere come il partito più votato della sinistra, non ci si può sottrarre al dubbio, leggendo gli interventi, le proposte, il programma che sebbene si presenti pieno di contraddizioni e anche di principi contrapposti rimane emblematico per la sua modernità assoluta, ancora più moderno di quel che offre ora la politica, che forse erano quelle emerse nel 1945 le “dritte” giuste. Solo se si voleva cambiare davvero l’Italia, però.

Dubbio legittimo sia l’uno sia l’altro, visto come andarono le cose, ma soprattutto il secondo quasi certezza, ovvero che, davvero, le cose, erano in pochi a volerle cambiare. Basti pensare alle tenaci catene di continuità che emersero da subito, nel Sud liberato e poi via via, su su, fino a conquistare l’Italia del Nord, a sopire il Vento del Nord: continuità di ceto amministrativo, militare, poliziesco, persino dell’Ovra e a poco a poco politico, con le nostalgie fasciste che diventarono poi neofasciste fino a riconquistare, con un colpo di spugna sulla memoria del Paese, legittimità e potere. Una parabola interessante, che potrebbe essere oggetto di uno studio e che, i forse si sprecano, forse i relatori del Congresso azionista del ’45 sentivano oscuramente già come pericolo reale.

Del resto, cosa distingueva, a parte i dati già segnalati, il Partito d’Azione rispetto ai partiti protagonisti del Dopoguerra? La sua natura composita ma anche la sua stessa ragion d’essere è tutta nelle parole, citate da Valdo Spini, presidente della Fondazione Circolo Rosselli e padrone di casa, nell’intervento che ha introdotto al dibattito, di Tristano Codignola, il leader del Partito d’Azione toscano, “Le libertà, tutte le libertà possono essere sostenute e difese soltanto dal nostro Partito”, parole che mettevano sul piatto, come rileva Spini, “una piattaforma integrale di socialismo liberale o liberal socialismo come lo si voglia considerare”.

Ma prima di analizzare cosa non funzionò nel meccanismo politico che condusse un partito che espresse vertici istituzionali e che costruì una parte inalienabile della Costituzione a sparire così rapidamente, è necessario, secondo quanto dice Giovanni Belardelli, intanto uscire dal mito che si è costruito attorno al Pd’A. Perché? Per essere più lucidi e comprendere, al di là dell’ammirazione per le biografie dei personaggi, i motivi reali della fragilità così evidente nella struttura del gruppo. “Estrema eterogeneità di pensiero innazitutto, si passa dalla voce liberal-democratica alla spinta verso sinistra con l’arrivo, in particolare, dei Giellini – ricorda Belardelli – pur non dimenticando che Codignola , grazie alla confluenza di Lussu, vinse con la propria mozione il Congresso”. Vittoria che fece compiere al partito una torsione verso il socialismo, ma, a fronte dello scioglimento avvenuto due anni dopo, “una vittoria di Pirro”.

Finanziamo strutture per affitti brevi

Gestiamo strutture per affitto breve

Vince la posizione più di sinistra dunque. Ma, dice Belardelli citando il saggio di Giovanni Salvatucci “Il Riformismo impossibile”, è possibile il riformismo nella storia della sinistra italiana? Impossibile, neppure nella storia “dei riformisti italiani, che, nonostante il riformismo, mantenevano un radicalismo di fondo” che ne incrinava l’attitudine al riformismo. “Del resto, rifacendoci al dibattito sulle questioni economiche, ritroviamo posizioni molto diffuse all’epoca, come l’idea di dover intervenire profondamente nei meccanismi del capitalismo, idea che si trovava anche nella Dc”, e che nasceva dalla convinzione che il fascismo fosse il frutto avvelenato dei meccanismi del capitale. Un pensiero diffuso, come abbiamo visto, che viene poi “addomesticato” nel prosieguo del Dopoguerra e abbandonato via via, in particolare dalla Dc e poi, alla fine e vicino a noi, dallo stesso Pci col suo cambiamento radicale.

Emblematica la storia, da questo punto di vista e come richiama il professor Stefano Passigili, figlio di Aldo Passigli e presente in sala, dell’evoluzione del partito Repubblicano, in cui a poco a a poco perde peso l’area mazziniana radicale (tranne in alcune zone, come le Romagne e Massa in Toscana) e prevale l’area economico progressista che vede la nota partecipazione di Susanna Agnelli. Una proposta emblematica della temperie in cui si trovava l’Italia negli anni del congresso azionista, è la proposta del “massimo patrimonio consentito”. Nessuno può avere di più di quanto serve per la sua vita . Oltre, verrà confiscato. Una proposta di grande radicalità politica, che punta davvero a smontare i meccanismi dell’accumulo su cui si regge il capitalismo. Ma soprattutto, come spiega Belardelli ci fa arrivare al punto della durezza, intransigenza ed eticità senza cedimenti che è appannaggio del Pd’A.

Un pregio? Forse. Tuttavia, non lo è per la politica, perché, spiega il professore, “non è fare politica”. Ma cos’è la politica? Belardelli si richiama alla distinzione weberiana dell’etica della convinzione e quella della responsabilità. Se la prima è pericolosa per la sua tendenza a ottemperare ai principi senza tener conto delle conseguenze, la seconda (propriamente la sfera della politica, secondo Weber) non può prescindere dagli effetti delle azioni, anche in coerenza con le convinzioni. Un principio che tuttavia chiede di essere validato dalla storia. Un esempio? Belardelli cita la questione famosa degli “armadi della vergogna”, ovvero degli schedari degli ufficiali tedeschi che si macchiarono di crimini efferati contro la popolazione civile italiana durante la ritirata delle truppe germaniche incalzate dagli Alleati e dalla Guerra di Liberazione, e che furono ritrovati in due armadi lasciati per decenni “girati” contro la parete, “dimenticati”. E’ però il presidente dell’Istituto della Resistenza toscano Matteo Mazzoni a chiarire il punto: non furono consegnati agli Alleati non tanto per una questione di scelta capace di evitare conseguenze politiche nefaste, bensì per non dovere in un secondo passo, da parte dell’Italia, consegnare le proprie liste di criminali di guerra, rischiando di dover consegnare alla giustizia internazionale anche ufficiali (e manovalanza) che continuavano tranquillamente a essere a capo dell’amministrazione e della sicurezza del Paese nel Dopoguerra.

Tirando le fila, e, come dice Menconi, rimanendo pacifico il patrimonio ideale e etico che ci consegnano gli Azionisti, il nocciolo della questione rimane quello sottolineato dal presidente della Fondazione Circolo Rosselli, Valdo Spini, “l’attualità del dibattito congressuale toscano del Partito d’Azione sta proprio nella volontà di cambiare nel profondo le strutture economiche sociali e culturali che avevano consentito l’avvento del fascismo”. Possiamo dire che fu un sogno naufragato molto presto, come testimoniarono da lì a due anni le pallottole di Portella della Ginestra, il 1 Maggio 1947. Dove fu chiaro che il vecchio mondo stava riprendendo il suo posto nel Paese. Il Vento del Nord stava già smettendo di soffiare.





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Finanziamo agevolati e contributi

per le imprese

Source link

Consulenza fiscale

Consulenza del lavoro