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Napoli, Federico II laboratorio di ricerca sui superconduttori


Elaborare tecniche innovative per testare cavi superconduttori e ridurre, negli impieghi civili e industriali, fino a cinque volte la dispersione di energia elettrica rispetto agli attuali cavi ad alta tensione. Mettere a punto nuove tecnologie per la realizzazione di supermagneti per gli acceleratori di particelle di prossima generazione destinati a sostituire i collisori utilizzati al Cern di Ginevra. Sono alcuni degli obiettivi del nuovo laboratorio di ricerca avanzato (Advanced Instrumentation Laboratory), dell’Università di Napoli Federico II e del Cnr inaugurato ieri a Monte Sant’Angelo.

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Il progetto

Prende forma dunque il polo napoletano della rete nazionale Iris (Innovative Research Infrastructure on applied Superconductivity). Con una durata prevista di 30 mesi il progetto è stato finanziato con 60 milioni di euro del Pnrr della misura dedicata alle infrastrutture di ricerca oltre il 50% dei quali destinato al Sud. Il progetto nasce dalla collaborazione fra ricerca e industria con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e Asg Superconductors di Genova e punta a realizzare cavi utilizzando un innovativo materiale superconduttivo, il di-boruro di magnesio (MgB2) che consente la trasmissione a temperature più alte rispetto a quelle sperimentate finora vicine allo zero assoluto.

«La tecnologia superconduttiva basata su MgB2 è stata già collaudata al Cern nell’ambito di HiLumi-Lhc, il progetto di aggiornamento del grande acceleratore di particelle Lhc – ha detto Lucio Rossi, della Statale di Milano e dell’info, responsabile del progetto Iris – e ora facciamo un ulteriore passo in avanti, sviluppandola per il trasporto sostenibile di grandi potenze elettriche». Il progetto vede coinvolti anche l’Istituto superconduttori, materiali innovativi e dispositivi spin del Cnr e le Università di Genova, Federico II di Napoli, Ateneo di Salerno e del Salento.

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Al taglio del nastro ieri sono intervenuti tra gli altri Valeria Fascione assessore ricerca Regione Campania, Lorenzo Marrucci delegato alla Ricerca della Federico II, Marco Pallavicini Vice-presidente Infn (Istituto nazionale fisica nucleare), Pierluigi Campana della giunta esecutiva dell’Infn, Gennaro Miele direttore del dipartimento di Fisica, Luca Lista direttore Infn Napoli, Pasquale Arpaia ordinario di Ingegneria delle Misure della Federico II e Direttore Cirmis, responsabile scientifico del Polo napoletano di Iris, Michele Punturo coordinatore internazionale della collaborazione scientifica Einstein Telescope (ET) e coordinatore nazionale del progetto Etic (ET Infrastructure Consortium), Lucio Rossi coordinatore nazionale del progetto Pnrr Etic, Rosario De Rosa responsabile del Laboratorio Etic di Napoli e Giuliana Fiorillo responsabile dipartimentale del laboratorio Iris di Napoli.

«Siamo riusciti a portare a Napoli l’esperienza maturata nell’ingegneria del Cern – spiega il professor Arpaia rientrato alla Federico II alcuni anni fa dopo una lunga esperienza a Ginevra – abbiamo finalmente un laboratorio all’altezza da popolare di giovani ricercatori e di nuove idee. Prenderemo spunto – conclude – dall’esperienza di ARHeMLab (Augmented Reality for Health Monitoring Laboratory), partito con 350 mila euro di finanziamento del Miur per i Dipartimenti di eccellenza e che oggi vanta progetti finanziati per svariati milioni di euro e 20 ricercatori. Con il progetto Iris – aggiunge Rossi – l’Italia assume una posizione di primo piano in Europa e nel mondo nel campo della superconduttività applicata».

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Da non trascurare il valore formativo per un centinaio tra dottorandi, giovani ricercatori e tecnici specializzati. «Ho lavorato duramente a questo progetto sia a livello teorico sia in supporto all’amministrazione – aggiunge Antonio Esposito, giovane ricercatore di Iris, ora spero finalmente di portare a Napoli il prototipo per la sicurezza del magnete superconduttivo sviluppato a Berkeley col nostro dottorando Davide Cuneo».

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Con una linea superconduttiva da 1000 km che trasporti 3 Giga Watt di potenza (pari al 5% della produzione termoelettrica in Italia), si risparmierebbe l’equivalente di 150 mila tonnellate di CO2 all’anno e si potrebbero, inoltre, azzerare le emissioni elettromagnetiche e il riscaldamento del suolo con una significativa riduzione dei costi di realizzazione e gestione.





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