Qualcosa, anche se lentamente, si muove. Sono sempre di più i detenuti che svolgono un’attività lavorativa mentre scontano la loro pena in carcere. E sono sempre di più quelli che lo fanno non alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, datore di lavoro naturale (e per molto tempo, l’unico) di chi decide di imparare un mestiere dentro una struttura detentiva, ma assunti da imprese private e cooperative sociali. E i numeri sono destinati a crescere ancora, dal momento che sono stati già individuati (e dovrebbero partire a breve) 200 interventi in decine di penitenziari italiani per la ristrutturazione «totale o parziale» di spazi, anche all’aperto, da destinare ad aree di lavoro: panifici, falegnamerie, aule studio.
IL RAPPORTO
A certificarlo è l’ultima relazione sullo svolgimento di attività lavorative da parte dei detenuti, stilata dal Dap e consegnata al Parlamento nelle scorse settimane dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Che mette in luce come, dopo anni di tentativi per invertire il trend e abbassare i tassi di recidiva per chi delinque, gli sforzi sembrino finalmente cominciare a dare dei frutti. Con benefici per le aziende, che assumendo anche a tempo determinato chi sta scontando una pena godono di una serie di sgravi fiscali, ma soprattutto per i detenuti stessi e per lo Stato.
Secondo le stime, infatti, mentre chi esce dal carcere senza aver partecipato ad attività di formazione o di lavoro la possibilità di tornare a delinquere entro pochi anni è del 70 per cento, il tasso di recidiva crolla al 2 per cento se durante gli anni della pena si è imparato un mestiere, che potrà tornare utile una volta fuori. E che magari contribuirà a tener lontano dalla criminalità.
Da fare c’è ancora molto: secondo la relazione consegnata al Parlamento, al 31 dicembre 2024 su oltre 61mila detenuti nei penitenziari italiani erano impiegati in attività lavorative «di tipo continuativo» in 21mila: poco più di un terzo (percentuale che per le donne sale al 50 per cento). E quasi 18mila di loro, ossia l’84 per cento, erano impiegati alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Solo il 16 per cento, insomma, aveva un contratto con un’impresa privata o una coop. Ma per quanto i numeri siano ancora piccoli, dal 2023 l’aumento è costante, con una crescita dell’11 per cento l’anno stimata anche per il 2025. Le mosse messe in campo dal ministero insomma, a cominciare dalla cabina di regia istituita al Cnel per far conoscere alle imprese la possibilità di assumere detenuti e i relativi sgravi fiscali, sembrano aver smosso le acque. I risparmi non sono da trascurare: si va dal taglio del 95 per cento dei contributi Inps per il detenuto-lavoratore a un credito di imposta per ogni condannato assunto. Fino all’utilizzo gratuito degli spazi e dei macchinari eventualmente presenti nei penitenziari e al prosieguo dei bonus nei due anni successivi la scarcerazione se il rapporto lavorativo non si interrompe.
LE CONVENZIONI
Misure che nel 2023 sono costate allo Stato 9,2 milioni di euro. Una cifra salita a 10,4 nel 2023 e a 11,6 nel 2024 (superiore a quanto era stato inizialmente stanziato). Mentre per il 2025 si stima una spesa superiore ai 12 milioni, in «netto aumento» rispetto al passato.Insomma: se l’anno scorso le imprese e cooperative ad aderire al progetto sono state 694, quest’anno si punta a fare di più. Anche grazie alle convenzioni siglate con diverse aziende (una delle più grandi è Tiscali). E gli interventi previsti nei penitenziari dovrebbero dare una spinta, è l’augurio. Di qui al 2027 il Dap prevede di costruire o ristrutturare, infatti, 60 laboratori di panificazione e di prodotti legati all’enogastronomia, 41 tra officine e falegnamerie, 99 aule di formazione. Nella speranza di dar vita, si legge nella relazione, a un «moltiplicatore di effetti positivi». Per i detenuti e anche per lo Stato.
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