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Pioltello: Servono più soldi per dare ai Comuni i beni confiscati alle mafie


La Conferenza metropolitana chiede a larga maggioranza alla Giunta di Regione Lombardia di modificare i criteri di finanziamento degli interventi di recupero dei beni confiscati a carico dei Comuni. In particolare di prevedere finanziamenti regionali più importanti per venire incontro alle pubbliche amministrazioni che non hanno le risorse per poter rimettere a disposizione della comunità questi beni.

L’odg in Città metropolitana

Un ordine del giorno, promosso dal Consigliere delegato alla Legalità e Beni confiscati alla criminalità della Città metropolitana di Milano, Rino Pruiti, e votato dalla Conferenza metropolitana riunitasi in videoconferenza oggi,  venerdì 28 febbraio, chiede alla Giunta regionale di rimuovere “le limitazioni contenute nei bandi in parola, concorrendo al finanziamento integrale del costo complessivo previsto per l’intervento di riutilizzo dei beni confiscati assegnati agli enti locali, con particolare riguardo ai comuni di piccole dimensioni, ad adottati le necessarie misure affinché le risorse stanziate nel bilancio regionale per la finalità in parola non restino inutilizzate”.

In Lombardia 2.600 beni, meno della metà riutilizzati

Come è emerso nella Commissione antimafia del Consiglio regionale, sono 2.616 i beni confiscati alle mafie in Lombardia, uno dei numeri più alti nel Paese (dato aggiornato a gennaio 2025). Di questi, nella Città metropolitana di Milano, 496 beni sono in gestione all’Anbsc (Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) e 708 sono stati destinati, ad esempio a progetti educativi, abitativi e sociali. Dare a beni sottratti alla mafia un futuro di valorizzazione civile, sociale e culturale come patrimoni di comunità, costituisce, concretamente e simbolicamente, un elemento strategico nelle politiche di prevenzione, isolamento e contrasto verso la criminalità organizzata, ma purtroppo, sempre più spesso, i Comuni faticano a trovare le risorse necessarie ad avviare un progetto di recupero e valorizzazione a fini sociali dei beni confiscati.

Una questione di mancanza di risorse

Da qui la richiesta corale di rivedere il D.G.R. n. 2531 del 26 novembre 2019, che stabilisce modalità e termini per l’erogazione di contributi per il recupero e l’utilizzo ai fini sociali o anche istituzionali dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata: fino al 50% del costo complessivo previsto per l’intervento di riutilizzo con un massimo di 150.000 euro; fino al 90% del costo complessivo previsto per l’intervento di riutilizzo e fino 150.000 euro, per i Comuni con meno di 5.000 abitanti.

Questi criteri sono restrittivi e in assenza di risorse adeguate non si possono attuare efficaci politiche di recupero e valorizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata.  Solo con un sistema di finanziamento adeguato i Comuni, specie quelle medio-piccoli, potranno essere in grado di realizzare quegli interventi incisivi per la valorizzazione dei beni tolti alle mafie e la loro restituzione alla collettività. I beni confiscati alla criminalità organizzata rappresentano per il territorio una potenziale risorsa dal punto di vista economico ed il loro riutilizzo sociale deve essere considerato in un’ottica di sviluppo comunitario in termini di occupazione, di inclusione sociale, di miglioramento della qualità della vita e di partecipazione democratica. Auspichiamo in rapida risposta da Regione, che siamo convinti comprenda e sia sensibile a questa esigenza del territorio.

ha spiegato Pruiti.

Il caso del Centro di cultura popolare

In tal senso è emblematico quanto accaduto a Pioltello dove la ex sede del Centro di cultura popolare in Piazza Garibaldi è rimasta vuota per anni. Infatti il Comune ha dovuto recuperare ingenti risorse (circa 100mila euro) per poter intervenire e riqualificare l’immobile prima di poterlo destinare ad associazioni impegnate nel campo sociale. E se a Pioltello le risorse necessarie sono state trovate, non sempre la situazione è tale con il rischio che potenziali presidi di legalità nei territori restino vuoti monumenti all’illegalità.

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